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La Versione di Iggo

Benvenuta la noia!

  • 13 Gennaio 2023 (5 min di lettura)

Se i dati sull’inflazione in linea con le previsioni ci sembrano noiosi, benvenuta sia la noia! Le aspettative di un calo dell’inflazione iniziano a riflettersi nei dati, ciò alimenta la fiducia che i tassi di interesse non dovranno salire ancora per molto. Le prospettive per il reddito fisso restano pertanto positive. La fase di pericolo però non è finita, l’inflazione resterà oltre i dati storici ancora per un po’. I tagli dei tassi da parte della Federal Reserve (Fed) nel 2023, già scontati dai mercati, non sono però assolutamente garantiti. Ad ogni modo l’assenza di sorprese, anche sul fronte macroeconomico, dovrebbe essere un bene per il rendimento degli investimenti.

 

Sfida n. 1: vinta

L’indice dei prezzi al consumo (CPI) negli Stati Uniti di dicembre ha favorito il rally del mercato. La convinzione che la banca centrale americana non dovrà portare il tasso di interesse oltre il 5% è ormai irremovibile, le previsioni del mercato sul picco dei tassi sono stabili da inizio novembre. Lo scenario si prospetta positivo per il reddito fisso con un’inflazione annua negli Stati Uniti (sia complessiva che core) in costante calo. I dati sull’inflazione di dicembre sono stati la prima grande prova di quest’anno per i mercati, che l’hanno superata. Le previsioni erano corrette. Nessuna sorpresa, nessuna tragedia, solo dati noiosi. L’attenzione torna ora a rivolgersi all’incontro della Fed fissato per il 1° di febbraio. Il mercato si chiede “quanti rialzi dei tassi ci saranno ancora?” o “quando la Fed inizierà a tagliare i tassi?”. Secondo me, Powell & Co. ci diranno che servono altri rialzi.

 

Dinamiche

È interessante seguire l’andamento dell’inflazione che è influenzato sia da fattori generici che specifici. Chiaramente la ripresa dopo il Covid ha prodotto un disallineamento tra l’offerta e la domanda globali, facendo salire l’inflazione ovunque, in particolare per i prodotti e le materie prime con curve di domanda e offerta meno elastiche. Ci sono anche micro-tendenze che gli analisti ci presentano mensilmente. Per esempio, cosa sta accadendo ai prezzi delle auto usate? L’abitazione è veramente fonte di preoccupazione? E così via. A parte lo scorso anno, l’inflazione è stata estremamente stabile negli ultimi 20 anni. Stabile, con un evidente andamento stagionale.

 

Primo semestre al rialzo

Considerando l’inflazione negli Stati Uniti dai primi anni ‘90, ho calcolato un incremento medio mensile. In media, l’inflazione complessiva è salita mensilmente dello 0,217%, il dato core dello 0,209%. I dati non rettificati mostrano più chiaramente l’andamento stagionale, l’aumento mensile tende infatti a essere più ampio nel primo semestre dell’anno. Chi opera e investe in obbligazioni indicizzate all’inflazione è consapevole di tale andamento e cerca di massimizzare il carry inflazionistico con la propria strategia. Se confrontiamo le medie a lungo termine con i dati del 2022 notiamo che lo shock inflazionistico si è concentrato in particolare nei primi mesi dell’anno, e stranamente poco prima e dopo l’invasione russa in Ucraina e il balzo dei prezzi dell’energia su scala globale. Verso la fine dell’anno, gli incrementi mensili dell’indice dei prezzi al consumo sono maggiormente in linea con le medie storiche. Con questo non voglio dire che l’inflazione si è andata normalizzando ma che, quando i dati sull’inflazione sono in linea con le attese, i mercati si sentono sollevati. Meglio la noia che la sorpresa.

I prezzi core seguono, in genere, un andamento stagionale leggermente diverso, con qualche picco nel primo e nel terzo trimestre. Nel 2022 però le dinamiche sono state un po’ più preoccupanti. Ci sono stati shock inflazionistici nella maggior parte dei mesi (confrontando i dati del 2022 con le medie a lungo termine), anche a dicembre. Dunque, le tendenze inflazionistiche sottostanti restano ben oltre il (recente) andamento a lungo termine dell’inflazione negli Stati Uniti. Questo è ciò che preoccupa la Fed. Gli aumenti mensili medi non rettificati dell’inflazione core negli Stati Uniti nel 1° trimestre presentano una media storica dello 0,3%, 0,5% e 0,4%. I dati rettificati su base stagionale sono più bassi, comunque all’inizio di ogni anno c’è la tendenza a un aumento dei prezzi e dei salari. Considerato l’andamento dell’inflazione nel 2022, c’è il rischio che tali incrementi siano superiori alle medie storiche.

 

Attenzione al 1° trimestre

L’inflazione su base annua dovrebbe continuare a scendere, ma il rischio è che resti vischiosa, soprattutto quella core. Se l’inflazione mensile core nel 1° trimestre 2023 è più alta della media storica solamente dello 0,1% al mese, il tasso d’inflazione annuale resterà ben oltre il 5,0%.

L’inflazione sta scendendo però dobbiamo tenere presente il rischio che, almeno a livello core, ci siano altre sorprese al rialzo. Per l’inflazione complessiva, il rischio principale è un nuovo aumento dei prezzi dell’energia che potrebbe accadere nel breve termine se l’inverno nell’emisfero nord fosse più freddo durante il secondo semestre (soprattutto in Europa che finora ha beneficiato di temperature straordinariamente calde). Anche la riapertura della Cina rappresenta un rischio per i prezzi dell’energia globali.

 

La strategia preferita per il reddito fisso è ancora short duration

Fino alla fine del 1° trimestre è probabile che la Federal Reserve continui con la stretta e respinga l’idea di un possibile taglio dei tassi già quest’anno. Ciò favorisce dunque una strategia short duration anziché long duration. Lo stesso vale per l’Europa, sulla curva dei rendimenti a più lungo termine gravano le dinamiche inflazionistiche, mentre la Banca centrale europea (BCE) sta per ridimensionare il proprio stato patrimoniale. La BCE alzerà i tassi, l’inflazione inizierà a scendere dopo gli Stati Uniti, e il mercato non sembra aver ancora trovato un equilibrio sul fronte dei Bund e di altri mercati obbligazionari come forse sta accadendo negli Stati Uniti.

 

Occhio al mercato del lavoro

Oltre che sull’andamento dell’inflazione, la politica della Federal Reserve si decide anche sulla base delle dinamiche del mercato del lavoro, che resta solido con un tasso di disoccupazione del 3,5%. C’è qualche segnale di rallentamento, gli indici dell’Institute for Supply Management (ISM) negli ultimi mesi riportano un calo dell’occupazione e una costante flessione della settimana lavorativa media (ovvero del numero di ore lavorate). Anche la crescita media del reddito sta rallentando. Questo potrebbe dipendere dal fatto che le aziende stanno chiedendo ai lavoratori di fare meno ore di lavoro e sono riluttanti a concedere un aumento dei salari per via del calo della domanda. Ma nel complesso non licenziano. Alla luce della domanda elevata sul mercato, le aziende probabilmente preferiscono mantenere il personale, in attesa che si chiariscano le prospettive economiche.

 

Carenza di personale

Esaminando nel dettaglio l’occupazione negli Stati Uniti, emerge un settore che fatica a tornare ai livelli di occupazione precedenti, ovvero hospitality e tempo libero. È l’unico grande settore economico con un numero di salariati ancora inferiore al dato di febbraio 2020, poco prima dello scoppio della pandemia. Quando l’economia chiuse a marzo 2020, molti lasciarono il posto di lavoro negli alberghi, nei ristoranti e nei bar. Alcuni sono tornati, ma non ai livelli precedenti. L’impossibilità di lavorare da casa, le preoccupazioni per la sicurezza e le motivazioni finanziarie sono probabilmente le ragioni per cui molti hanno lasciato il settore definitivamente. I salari più elevati cercano di attirare personale, la crescita media del reddito nel settore hospitality e tempo libero è superiore a quello dell’economia nel suo complesso, e chiaramente non manca la domanda di alberghi e ristorazione. Sembra che i lavoratori che hanno abbandonato questo settore abbiano contribuito in misura significativa al calo della partecipazione al lavoro registrata negli ultimi due anni. Non sorprende dunque che le persone si lamentano oggi della qualità del servizio e della carenza di personale nei ristoranti e negli alberghi. Non è solo un problema che riguarda gli Stati Uniti, i dati internazionali mostrano che l’occupazione non ha ancora recuperato pienamente. Il lavoro flessibile e i contratti a zero ore hanno reso il settore meno interessante per chi ci lavora e vuole fare carriera.

Non sono sicuro che l’aumento della remunerazione dei baristi sia necessariamente la causa principale dei timori inflazionistici. Ma indubbiamente la situazione occupazionale nel settore del tempo libero e dell’hospitality evidenzia le problematiche strutturali del mercato del lavoro. La robusta crescita dei salari riflette la domanda elevata di personale e la carenza dell’offerta. Bisogna far tornare le persone al lavoro se si vuole evitare un’eccessiva inflazione dei salari in futuro.

 

Problemi strutturali

Nonostante le buone notizie sul fronte dell’andamento dell’inflazione, gli investitori devono dunque prendere atto che il mondo è cambiato dopo il Covid e che oggi l’occupazione è diversa. Alcuni settori fanno più fatica di altri, per cui i mercati del lavoro si scontrano con la carenza dell’offerta di lavoratori in molte economie. La politica monetaria deve affrontare i rischi inflazionistici, però vanno risolte anche le cause, su diversi fronti: tassazione, immigrazione, formazione e investimenti.

 

Noia

Sono temi di investimento non immediati ma in lenta evoluzione. Se l’inflazione tornasse sotto controllo e le banche centrali si tranquillizzassero, potrebbe essere un anno noioso. Dopo la pandemia del 2020, la frenetica ripresa del 2021 e l’impennata inflazionistica scatenata dalla guerra nel 2022, la noia sarebbe la benvenuta. La noia potrebbe piacerci perché i mercati sarebbero più convenienti dell’anno scorso e i rendimenti più elevati. La noia porterebbe migliori performance e una crescita della ricchezza. Allora, viva la noia!

 

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