La guerra in Ucraina mette in ombra gli investimenti responsabili
Il conflitto in Ucraina, al di là della tragedia che costituisce per la popolazione locale e delle sue oscure ramificazioni geopolitiche, potrebbe avere un impatto significativo sull'economia europea e pregiudicare sul nascere la ripresa post-pandemia.
L'inflazione stava già risalendo per effetto dei problemi delle catene di approvvigionamento, ma lo shock dei prezzi energetici sta esacerbando il suo impatto sul potere d'acquisto delle famiglie, che si rispecchia in un brusco peggioramento della fiducia dei consumatori e – almeno in alcuni paesi – in un'effettiva riduzione della spesa.
I governi reagiscono a questa sfida con l'ennesimo stimolo fiscale – in misura superiore all'1% del PIL in tutti i quattro principali Stati membri dell'area euro – ma c'è il rischio che la cosiddetta ‘emergenza della crescita’ possa incentivare i governi a rinviare decisioni necessarie, per quanto nell'immediato dolorose, rispetto alla decarbonizzazione delle nostre economie.
Assicurare l'approvvigionamento di energia
L'insegnamento più evidente dell'attuale crisi è che, in qualsiasi dibattito su quale possa essere il percorso migliore per il nostro mix energetico, si devono considerare le correlazioni tra l'obiettivo non negoziabile di azzeramento delle emissioni entro il 2050 e i temi della sicurezza energetica e della coesione sociale.
Se l'equazione è dominata solo dai timori riguardanti la sicurezza, corriamo il rischio di trasformare soluzioni provvisorie d'emergenza – ad esempio la sostituzione del gas russo con GNL proveniente dagli USA o dal Qatar – in soluzioni permanenti, rinviando la decarbonizzazione dei sistemi di generazione. Questo sarà inevitabile se gli operatori del settore riusciranno a spuntare impegni a lungo termine da parte dei governi in cambio dei loro sforzi d'investimento.
Se qualche soluzione rapida è necessaria a fronte dell'urgenza delle sanzioni, dovrà però essere attentamente integrata in una strategia di più ampio respiro. È necessario uno spostamento più deciso verso le rinnovabili – che potrebbe richiedere un aumento della capacità di finanziamento nell'ambito del piano Next Generation EU – ma la crisi sta rimettendo sul tavolo anche la questione dell'energia nucleare.
L’UE deve ancora definire la sua posizione su questo aspetto cruciale nella sua tassonomia ma, nell’attuale corsa alla sostituzione del gas e del petrolio russi, sarebbe il caso di meditare su uno degli elementi più sottovalutati del report pubblicato l’anno scorso dall’Agenzia Internazionale per l’Energia – ossia che il percorso verso l’azzeramento delle emissioni non può prescindere dal contributo del nucleare.
Integrazione ESG
Nella prospettiva degli investitori, ciò implica la necessità di rendere ancora più granulare la strategia ESG in relazione all’energia, concentrandosi su forme di transizione dai combustibili fossili che tengano conto anche dei vincoli geopolitici dei singoli paesi. Gli investitori devono inoltre migliorare la propria capacità di considerare allo stesso tempo il pilastro ‘E’ (ambientale) e il pilastro ‘S’ (sociale).
La questione della ‘Transizione Equa’ non è nuova, ma assume ovviamente maggiore rilievo nell’attuale contesto di prezzi dell’energia in rapido rialzo. Sarebbe stato inevitabile in qualsiasi percorso di transizione realistico verso l’obiettivo net zero; tuttavia, a fronte degli aumenti a due cifre dei prezzi al consumo dell’energia, dobbiamo fare in fretta i conti con questa realtà. L’energia non è l’unico canale di trasmissione attraverso il quale le ricadute della guerra in Ucraina ci obbligano a coniugare gli elementi ‘E’ ed ‘S’. L’interruzione delle forniture di cereali e fertilizzanti sta facendo salire i prezzi dei prodotti alimentari, con conseguenze visibili per i paesi in via di sviluppo e per le più povere tra le nazioni sviluppate.
Nei prossimi anni dovremo prestare grande attenzione al modo in cui le entità in cui investiamo accolgono la dimensione sociale della transizione. E questo vale per gli emittenti societari, ma anche – e forse ancora di più – per quelli sovrani.
La valutazione ESG di questi ultimi è ancora agli albori, perché manca un approccio comune sufficientemente dettagliato nel settore finanziario, ma una componente essenziale di tale valutazione dovrebbe essere incentrata sulla modalità in cui le amministrazioni gestiscono l’effetto distributivo delle politiche di transizione adottate. Se il costo per rendere sostenibili le nostre economie non sarà condiviso in modo equo, l’accettazione democratica della lotta al cambiamento climatico – che in molti paesi è appena accennata, o incerta – finirà per esaurirsi.
Le sfide delle esclusioni
Il conflitto russo-ucraino imporrà anche la riconsiderazione dell'atteggiamento degli investitori verso le criptovalute in prospettiva ESG. Fino a oggi sono stati esplorati soprattutto gli aspetti dannosi per l’ambiente (in molti casi il mining delle criptovalute richiede un’enorme quantità di energia). Ma sarebbe opportuno prestare più attenzione alla capacità di questi asset di eludere i controlli – e, in particolare, le sanzioni internazionali.
Infine, c’è un altro aspetto che impone una maggiore granularità delle strategie ESG: come consideriamo le armi. L’esclusione indiscriminata di tutte le attività coinvolte nel settore della difesa è stata una prassi diffusa tra numerosi investitori ESG. Se non ha senso valutare lo sviluppo e la produzione di armi controverse – sulle quali esistono standard ormai ampiamente accettati nel settore finanziario – le imprese che migliorano la capacità dei paesi di difendersi in caso di aggressione potrebbero essere compatibili con un approccio d’investimento sostenibile.
Con la guerra in Ucraina sembra emergere l'esigenza di sviluppare un insieme di principi ottimizzato rispetto all’inclusione dei diritti umani nelle politiche d’investimento.
Maggiori informazioni sull’argomento, con contributi di Gilles Moëc e Bertrand Badré, già AD della Banca Mondiale, oltre che CEO e fondatore di Blue like an Orange Sustainable Capital, in Project Syndicate.
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