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La Versione di Iggo

Stretta sui tassi anche in recessione?

  • 29 Luglio 2022 (3 min di lettura)

Nulla è così semplice, ma nella prima metà del 2022 gli Stati Uniti sono tecnicamente entrati in recessione, avendo registrato una crescita negativa del PIL sia nel primo che nel secondo trimestre. La Fed questa settimana ha aumentato i tassi di un ulteriore 0,75%, ma le argomentazioni a sostegno di ulteriori rialzi appaiono sempre più deboli – se non fosse che non è ben chiaro quando l'inflazione toccherà il picco. Non è facile trovare esempi in passato in cui la Fed abbia ripetutamente alzato i tassi d'interesse a fronte di una contrazione dell'economia, ma questa volta potrebbe proprio andare così. Ad ogni modo, ci sono discrete probabilità che gli yield obbligazionari tendano a diminuire, anticipando prima o poi una svolta nei toni della Fed. Una flessione dei tassi obbligazionari potrebbe in qualche misura controbilanciare l'impatto negativo sulle valutazioni azionarie di una contrazione degli utili. La qualità dell'esposizione azionaria e obbligazionaria resta cardine per evitare il peggio della stretta sui cash flow delle imprese.

 

Neutralità

Negli USA la Federal Reserve (Fed) ha aumentato i tassi d'interesse di 75 punti base (bps) il 27 luglio. Il tasso d'interesse di riferimento in questo momento si colloca al 2,50%, un livello che la Fed ritiene rappresenti i tassi d’interesse nominali neutrali a lungo termine. In teoria, il tasso d’interesse neutrale è quello che corrisponde alla piena occupazione senza inflazione (il nirvana dell'economia). Naturalmente, l'inflazione ha nettamente superato il target a lungo termine, il che significa che sono in arrivo altri rialzi dei tassi d'interesse. Gli economisti ipotizzerebbero un passaggio a politiche restrittive con tassi superiori al tasso neutrale a lungo termine. Ma il mercato non crede nell’ipotesi di politiche monetarie così restrittive rispetto ai prezzi alla luce dell'incontro del FOMC del 27 luglio, che suggerisce un picco del tasso sui Fed Funds del 3,25%. Da diverso tempo, la narrazione è sempre la stessa – la politica monetaria si fa moderatamente restrittiva, l'economia rallenta e fa abbassare l'inflazione e, per riuscire a realizzare un atterraggio morbido, nel 2023 la Fed inizierà a tagliare i tassi. Il tasso implicito sui Fed Funds a fine 2023 è inferiore al 2,75%.

 

La stabilità dei tassi è un bene

In questo momento il prezzo dei Treasury rispecchia questa narrazione. I tassi di rendimento a oltre 2 anni sono compresi tra il 2,65% e il 3,0%. Come ripeto da diverso tempo, la stabilizzazione dei tassi di rendimento a lungo termine è una condizione necessaria per avere una visione più positiva su altre asset class. Anche gli yield del mercato del credito – sia nel segmento investment grade che nel segmento high yield – si sono stabilizzati. è una buona notizia per chi detiene portafogli di obbligazioni corporate – la discesa dei prezzi si è fermata – ma anche per le società emittenti stesse, in quanto suggerisce la possibilità che il picco dei costi di finanziamento sia già stato raggiunto.

 

Una narrazione pessimistica

La situazione non cambia neppure fuori dagli Stati Uniti, dove nell'ultimo mese si è registrato un abbassamento dei rendimenti sui titoli governativi. Il benchmark per l'area euro, il rendimento del Bund a 10 anni, dopo avere raggiunto l'1,93% il 6 giugno, attualmente si colloca poco sopra lo 0,9%. Di conseguenza, si sono ridotti anche i rendimenti delle obbligazioni societarie europee. Stessa situazione nel Regno Unito. Pertanto, in tutte le economie avanzate, da inizio giugno le politiche monetarie si sono in qualche misura allentate. Nonostante condizioni decisamente più restrittive rispetto all'inizio dell'anno, per il momento c'è un certo sollievo, che rappresenta un marginale miglioramento delle prospettive economiche.

Ciò nonostante, i toni della narrazione restano pessimistici, rispecchiando la perdurante cautela degli investitori rispetto agli asset rischiosi, nonostante quello che appare come un solido rally estivo. I prezzi dell'energia sono sempre elevati e la crisi del costo della vita ha gravi ripercussioni sul reddito e sulla spesa delle famiglie. Pertanto, le società rivolte al consumatore finale saranno ancora in difficoltà, almeno fino alla seconda metà di quest'anno. Cambiando argomento, le notizie provenienti dall'Ucraina non registrano miglioramenti e l'Europa rischia di trovarsi a corto di gas all'arrivo dell'inverno. Il rischio di razionamenti e di una flessione dell'attività economica in Germania e in altre economie del vecchio continente è stato correttamente segnalato da vari economisti nelle ultime settimane. In questo contesto, il mercato è scettico rispetto a quanto possa spingersi la BCE con gli aumenti dei tassi.

 

Rallenta la crescita globale

La forma delle curve dei rendimenti rispecchia l'apparente incongruenza tra la retorica aggressiva delle banche centrali rispetto all'inflazione e i rischi di ribasso per l'economia. Questa settimana, l'FMI nel World Economic Outlook ha rivisto al ribasso le sue previsioni di crescita. La crescita del PIL prevista nelle economie avanzate è del 2,5% per quest'anno e solo dell'1,4% nel 2023, dal 5,2% del 2021. Germania, Italia e Regno Unito l'anno prossimo dovrebbero registrare una crescita inferiore all'1%, una media annua che lascia aperta la probabilità di uno o più trimestri di crescita negativa. In altre parole, recessione. La Cina è l'unica grande economia per cui è previsto un rafforzamento della crescita nel 2023, che consentirà ai mercati emergenti di mettere a segno in aggregato un anno leggermente più positivo. Tuttavia, al di fuori della Cina, quasi tutte le grandi economie emergenti subiranno un rallentamento. Si tratta di una frenata di portata globale, in gran parte originata da un massiccio spostamento, in termini di scambi commerciali, tra consumatori e produttori di energia.       

 

Stretta nonostante la debolezza

Queste previsioni su base annua nascondo il fatto che la flessione è già iniziata, e non consente agli investitori di recuperare fiducia. Il rapporto sul PIL USA nel T2 attesta il secondo trimestre consecutivo di contrazione. Dai dati emerge la crescita trimestrale peggiore della spesa per i consumi dal periodo del lockdown, e un basso livello di investimenti delle imprese e in edilizia residenziale. Anche i dati riportati con maggiore frequenza registrano un deterioramento. L'indice manifatturiero dell'Institute for Management and Supply (ISM) è già sceso sotto quota 50. Un livello così basso è stato toccato diverse volte, anche quando il NBER non dichiarava ufficialmente gli Stati Uniti in recessione, ma non c'è mai stata una recessione senza sforamento sotto questo livello simbolico. Anche diversi indicatori analoghi in Europa hanno registrato un drastico calo. Dobbiamo chiederci fino a che punto le banche centrali potranno continuare ad aumentare i tassi d’interesse in presenza di un evidente rallentamento congiunturale. La tesi favorevole al mantenimento di un sovrappeso nel reddito fisso in uno scenario di crescita rallentata ci sembra convincente.  

 

La strategia d'investimento

Luglio è andato un po' meglio per gli investitori, con performance positive in tutte le asset class. È stato un sollievo dopo il primo tremendo trimestre. Le performance azionarie e obbligazionarie nella prima metà dell'anno sono state assolutamente in linea con una fase pre-recessione. Ora la recessione è arrivata, seppure relativamente lieve per il momento, e i mercati sono pronti a farsi guidare da diversi fattori. In una recessione, tipicamente, i tassi iniziano a scendere e gli utili delle imprese crollano. In questo senso, le obbligazioni sono avanti rispetto ai mercati azionari.

Il recente rally azionario sembra indotto dalla stabilizzazione dei tassi più che da una svolta in positivo delle prospettive di crescita. Le previsioni di utili sembrano ancora troppo ottimistiche, anche se nelle ultime settimane le stime di EPS prevalenti per il 2023 e per il 2024 stanno incominciando ad abbassarsi. La storia ci insegna che gli utili diminuiscono durante le fasi di recessione, e una nuova recessione potrebbe essere alle porte. I profit warning sono sempre più diffusi, anche se la stagione delle trimestrali per il secondo trimestre sia in Europa che negli USA non ha dato risultati deludenti. Il resto dell'anno potrebbe essere caratterizzato da ampi trading range laterali. Il punto è capire quale sarà l'entità della recessione degli utili, ma la possibilità da più parti ventilata di un soft landing nel settore corporate contribuirebbe evidentemente a generare maggiori rendimenti nei mercati azionari.

Gli yield obbligazionari sono ai minimi da aprile, ma i mercati potrebbero restare più o meno confinati entro una fascia di oscillazione ristretta fino a che le banche centrali non si sentiranno di segnalare la fine della stretta monetaria. Alla luce di tutto questo, l'attenzione dovrebbe puntare su qualità e reddito. Il credito di qualità elevata ha raggiunto livelli di yield che non si vedevano da diversi anni. Anche in Europa la curva del credito resta piuttosto ripida. Per quanto riguarda l'investment grade, il segmento a 7-10 anni offre un tasso del 2,85%, mentre i titoli con scadenza a 1-3 anni si fermano all'1,9%. La ripresa dello yield in parallelo con l'aumento delle scadenze è più evidente nell'universo del credito che nel mercato dei titoli governativi.

Come abbiamo già spiegato la settimana scorsa, la qualità negli investimenti azionari dovrebbe assicurare una maggiore resilienza in termini di utili. Continueranno probabilmente ad essere favorite anche le società che distribuiscono dividendi. Da inizio anno, l'indice S&P Dividend Aristocrats Total Return sovraperforma l'indice S&P generale di circa il 6%. In Europa, i mercati di Regno Unito, Francia e Spagna sono quelli in cui i dividendi hanno tendenzialmente rappresentato una quota più consistente del total return negli ultimi anni.

 

Qualità del cash-flow

La Bank of England si appresta a prendere una decisione sui tassi il 4 agosto. Ci aspettiamo un aumento di 50 punti base. Nel frattempo, le altre banche centrali dell'universo anglofono (USA, Regno Unito, Canada, Australia) saranno già piuttosto avanti nei rispettivi cicli di inasprimento. Le banche centrali amano essere noiose, e i mercati apprezzano la loro prevedibilità, dopo le difficoltà iniziali, ed è proprio a questo punto che ci troviamo. La stretta monetaria potrebbe essere ormai finita in termini di impatto sui prezzi di mercato; quel che conta in questo momento sono gli aspetti più incerti. Utili, geopolitica e interventi di politica fiscale sbagliati (tagli fiscali nel Regno Unito e in Italia, per esempio) gettano gli investitori nell'incertezza. Non è semplice costruire portafogli contro i rischi creati da queste incertezze, per cui si raccomanda un'allocazione importante nella qualità dei cash-flow sia nel mercato azionario che in quello del credito. In un'ottica a medio termine, si potrebbe puntare al rialzo attraverso l'esposizione al segmento high yield, mentre nell'ottica di un “approccio difensivo che tenga conto della recessione e di una svolta della politica monetaria”, propenderemmo per mantenere duration più lunghe nel reddito fisso, in particolare nel credito.

 

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