Tassi finalmente al picco
I mercati tengono. I rendimenti negativi dell’anno scorso riflettevano la chiusura del Quantitative Easing e la normalizzazione dei tassi di interesse. Naturalmente, l’inflazione ha generato incertezza e i rialzi dei tassi hanno fatto presagire una recessione. Le aziende, in genere, sono però in buona forma e la domanda di lavoro non manca. Ci sono situazioni preoccupanti, come le difficoltà del settore tecnologico, la potenziale sospensione dei servizi federali da parte del governo americano, una nuova impennata dei prezzi dell’energia con la riapertura in Cina, ma la crescita non sarà poi così terribile e l’inflazione sta scendendo. Gli investitori sembrano gradire il rialzo degli yield e i mercati azionari guardano oltre il calo degli utili di quest’anno in attesa delle opportunità di crescita in futuro. Non sarà semplice, la volatilità persiste, ma per il momento abbiamo superato la fase ribassista del mercato.
Fatto!
I mercati stanno risalendo perché la stretta monetaria è quasi finita. Le banche centrali hanno un compito, quello di garantire la stabilità dei prezzi. Alzano i tassi di interesse quando l’inflazione è al rialzo e quando è troppo alta, mentre tagliano i tassi quando l’inflazione è in calo o è troppo bassa. Non ci sono state sorprese durante gli ultimi incontri di politica monetaria, ma la fase dei forti rialzi dei tassi sta per finire. L’inflazione è troppo alta per cui le banche centrali non possono essere troppo compiacenti, e le prospettive a medio termine per l’inflazione sono incerte. Tuttavia, l’inflazione complessiva sta rallentando rapidamente in molte economie e potrebbe ritornare ai livelli target entro la fine dell’anno. Anche se ci saranno altri rialzi dei tassi a marzo, le previsioni del mercato sui tassi terminali non sono cambiate negli ultimi mesi e non dovrebbero cambiare in futuro. Le banche centrali cercheranno di giustificare i tassi ancora elevati, mentre i mercati cercheranno di anticipare i possibili tagli dei tassi da parte delle banche centrali. Sono dinamiche già in corso negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove si prevedono tagli dei tassi prima della fine del 2023.
Piace ai mercati
I rendimenti dei mercati nel 2022 hanno risentito dell’aumento dell’inflazione e della stretta monetaria aggressiva. Il divario tra i tassi di interesse a un anno e il tasso sui fed fund negli Stati Uniti è aumentato rapidamente nel primo semestre del 2022, man mano che si scontavano i futuri rialzi dei tassi. Il divario si è ampliato in fretta ed è rimasto ampio per diversi mesi durante i quali il rendimento dei mercati azionari è rimasto negativo. Da ottobre, con la prevista fine del ciclo di stretta, il divario è diminuito fin quasi ad azzerarsi e i mercati hanno recuperato. Le prospettive dei mercati azionari (ma anche di quelli obbligazionari) migliorano poiché non si prevedono nuovi rialzi dei tassi.
Rendimenti più bassi
Come sempre, c’è scetticismo sulla reazione positiva del mercato. I più pessimisti diranno che i tassi in territorio restrittivo graveranno sulla crescita economica. Ciò dovrebbe riflettersi in un indebolimento dei mercati azionari e del credito. È più facile sostenere la reazione dei mercati dei tassi. I tassi di interesse a lungo termine dovrebbero riflettere la media prevista dei tassi di interesse a breve termine in futuro. È molto difficile credere che i tassi a breve resteranno ai livelli attuali nei prossimi dieci anni. Le curve dei rendimenti sono inverse, ciò significa che i tassi dovrebbero scendere nel medio termine. Dunque, un altro rialzo di 25 o 50 punti base del tasso overnight non avrà necessariamente effetto sugli yield a più lungo termine quando l’opinione di consensus è che l’inflazione scenderà ancora e la crescita sta rallentando.
Dichiarare vittoria non è nella natura delle banche centrali perché sono (giustamente) ossessionate dai rischi. Comunque hanno fatto quello che dovevano fare. A un certo punto dovranno decidere come intervenire quando l’inflazione sarà troppo bassa, o valutare qual è il livello dei tassi adeguato se l’inflazione torna sul target globale del 2% circa. In entrambi di casi, i tassi saranno più bassi rispetto a oggi. Grazie al calo dell’inflazione e dei premi per il rischio di interesse nei mercati obbligazionari globali dall’inizio del quarto trimestre, gli investitori obbligazionari hanno riportato ottimi rendimenti. Dai minimi dello scorso ottobre, un tipico indice global aggregate bond ha guadagnato il 12% circa. I rendimenti probabilmente diminuiranno in futuro, soprattutto alla luce dell’andamento degli yield a medio e più lungo termine. Come abbiamo già evidenziato, il reddito fisso a più breve scadenza potrebbe produrre uno yield interessante oggi sul mercato per gli investitori che possono adottare le strategie orientate al reddito. In generale, i mercati del reddito fisso sono in miglioramento, i flussi sono positivi e gli investitori vanno a caccia di yield dopo anni di posizioni sottopesate.
E l’azionario?
Per tali ragioni sembra che gli investitori stiano incrementando le posizioni in obbligazioni. Non sembra che stia accadendo lo stesso per le azioni. Certo, la performance è stata molto positiva da ottobre, ma l’estensione del rally non è chiara. Qualche analista azionario di Wall Street prevede nuovi ribassi. Le previsioni ribassiste per il mercato azionario dipendono dal rischio di un calo degli utili più ampio di quanto visto finora. La logica di tutto ciò è che, se le banche centrali hanno fatto abbastanza da far scendere l’inflazione, probabilmente hanno fatto anche abbastanza da far rallentare la crescita e gravare sui ricavi e sui margini delle aziende. Tale previsione esclude un “soft landing” o l’idea che l’inflazione possa scendere solo se la disoccupazione sale. L’idea che l’impennata dell’inflazione del 2022 sia avvenuta per via delle ripetute interruzioni e ripartenze dell’economia globale nel periodo 2020-2021 si scontra con i puristi della curva di Phillips.
Utili in calo
Indubbiamente c’è incertezza sulla crescita e sugli utili. Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al rialzo le stime di crescita del Pil globale ma molti si aspettano ancora una recessione. Le stime di consensus sugli utili degli analisti azionari sono in calo da mesi. Per l’S&P 500, il tasso di crescita previsto a 12 mesi dell’utile per azione è del 4%, ma le aspettative variano molto: la deviazione standard delle stime di utile per azione a 12 mesi era più alta solo ad aprile 2020, poco prima del lockdown. Per l’Europa e l’EURO STOXX, il tasso di crescita previsto degli utili è del 2,1% soltanto. È interessante che le stime europee siano meno variegate rispetto a quelle sugli Stati Uniti. C’è in genere accordo sul fatto che la crescita degli utili in Europa sarà debole, mentre c’è maggiore incertezza sulle prospettive dei grandi settori statunitensi, come quello tecnologico e dell’energia. In ogni caso, le aspettative di utile sono scese molto e le stime di crescita a lungo termine per la maggior parte dei mercati azionari oggi sono più basse rispetto a un anno fa (anche se per gli Stati Uniti e l’Europa, i tassi di crescita a lungo termine sono ora ritornati sulle medie storiche, e ciò alla fine dovrebbe fornire fondamenta più realistiche per le valutazioni).
Mercati su, dati giù
Per la stagione delle trimestrali in corso, circa la metà delle società nell’indice S&P 500 ha già presentato i risultati, il dato aggregato non mostra grandi sorprese a livello dei ricavi o degli utili. Le aspettative di un rallentamento vengono confermate dai dati. La crescita degli utili è invariata o leggermente negativa finora, e le prospettive poco brillanti danno ragione ai più pessimisti. È difficile comunque valutare se i dati e quello che le aziende ci dicono ci porteranno verso una grave recessione degli utili. In Europa, la stagione dei risultati sembra più rosea, finora si rileva una crescita positiva degli utili e dei ricavi. Con le valutazioni più basse, meno rischi per la crescita e la possibile fine dei rialzi dei tassi da parte della Banca Centrale Europea dopo quello di marzo, le azioni europee potrebbero riportare ottime performance.
Nelle recessioni precedenti gli utili hanno toccato livelli più bassi, mentre nei periodi di shock sistemici (come la crisi finanziaria globale o la pandemia) i tassi di crescita su base annua erano veramente negativi, -65% per l’S&P 500. Nel ciclo 2017/2018, quando i tassi salirono solo della metà rispetto ad oggi, l’economia evitò la recessione, ma anche con un soft landing la crescita degli utili dell’S&P 500 fu nulla nel corso del 2019. Assomiglia alla situazione in cui ci troviamo oggi.
È interessante notare che, nel 2019 quando la crescita degli utili del mercato azionario USA ad elevata capitalizzazione fu sostanzialmente nulla, i PE dell’indice S&P erano intorno ai livelli attuali. Gli utili erano stabili, ma la Federal Reserve cambiò orientamento sui tassi alla fine del 2018 e li tagliò nel secondo semestre del 2019. Il mercato quell’anno salì del 29%. Ci può essere un rallentamento della crescita in concomitanza con una crescita degli utili scarsa, ma se il regime dei tassi cambia, i rendimenti azionari possono essere molto positivi.
Avanti
I mercati sono orientati al futuro. Gli osservatori del mercato non sempre. Si perdono tempo ed energie per cercare di tracciare collegamenti diretti tra complessità “difficili da capire” nell’economia globale e sul possibile livello degli yield obbligazionari a lungo termine o del mercato azionario. Il mercato obbligazionario sa che i rialzi dei tassi finiranno e che i tassi non resteranno in vetta a tempo indeterminato. I mercati azionari si sono svalutati quando gli yield obbligazionari erano in aumento (vi ricordate com’erano bassi nel 2020?), ma tale processo è finito e forse sta già cambiando direzione. Il mercato statunitense probabilmente sembra ancora costoso, ma il rapporto tra prezzo e utili in questo momento è solo al 22° percentile delle rilevazioni dal 2015, ed è esattamente a metà del range delle valutazioni utilizzato dal 1993.
Il rischio c’è?
La volatilità storica dei rendimenti azionari è elevata. Un rendimento medio annualizzato del prezzo del 9% per l’S&P 500 dal 1993 è stato associato al rischio che, per due terzi del tempo, il rendimento potrebbe essere tra -7% e +25%, e persino oltre per il resto del tempo. Dunque è difficilissimo fare previsioni. Io credo che il picco inflazionistico abbinato al picco dei tassi, le valutazioni già rettificate e le prospettive di crescita globale più ottimistiche dovrebbero bastare a mantenere il rendimento in territorio positivo. L’opinione di consensus è che il resto del mondo è più conveniente, e sembra proprio così. Ma è peggio per gli Stati Uniti? Non credo. È esagerato dichiarare la morte del mercato azionario USA, come ci ha chiarito un rendimento complessivo del 6% a gennaio. E se il mercato americano è positivo, è una buona notizia per l’azionario in generale.
Fondamentali in miglioramento?
Il mix di crescita globale tra produzione reale e inflazione dovrebbe migliorare nei prossimi due anni. Il rialzo dei tassi di interesse globali ha gravato sulle prospettive, e le dinamiche in corso potrebbero continuare a pesare sulla crescita nei prossimi trimestri. L’economia globale potrebbe però sorprenderci. Le politiche pensate per rinvigorire gli investimenti industriali negli Stati Uniti potrebbero migliorare le prospettive di crescita a lungo termine. È in corso una lotta globale, tra Stati Uniti, Cina ed Unione Europea per chi avrà il vantaggio competitivo nelle tecnologie verdi e nell’energia rinnovabile, e più in generale in campo tecnologico. Ciò dovrebbe mantenere l’inflazione a livelli più alti rispetto agli ultimi 20 anni, tuttavia aprirà anche opportunità di crescita e potenzialmente stimolerà la produttività, con vantaggi per lavoro e reddito. Non mi sono ancora lanciato nel mondo di ChatGPT, ma è un altro esempio del modo in cui la tecnologia, e in questo caso l’intelligenza artificiale, può contribuire a far aumentare la produzione quando la manodopera scarseggia. Non c’è ragione di credere che le soluzioni verdi, pulite e digitali non siano in grado di produrre rendimenti azionari del 10%.
Trofeo in arrivo
Erik ten Hag ha portato il Manchester United alla sua prima finale di coppa. Restiamo in attesa di un pareggio con il Newcastle United finanziato dall’Arabia Saudita il 28 gennaio. La Carabao Cup (ovvero la English League Cup se non vogliamo usare il nome dello sponsor) è la competizione meno affascinante del calcio inglese, ma il Manchester United se la sta cavando bene anche nella FA Cup, in Premier League ed Europa League. Chi l’avrebbe detto dopo la sconfitta contro Brighton e Brentford nelle prime due partite dell’anno? Avanti tutta!
Disclaimer