I mulini a vento della nostra mente
Quando le cose vanno male, si tende a pensare al peggio. Oggi ci troviamo in un periodo di inflazione, coi tassi di interesse al rialzo, la crescita che rallenta e la polarizzazione delle posizioni politiche. Le cose vanno male come durante la crisi petrolifera degli anni ‘70, la crisi dei missili cubani, la tragedia dell’11 settembre, o come quando abbiamo sfiorato il tracollo del sistema bancario globale? Anche se fosse così, c’è sempre la ripresa, come in ogni meccanismo complesso. La pazienza è una dote rara nei mercati finanziari, tuttavia è utile provare a guardare oltre le notizie del momento. Forse le obbligazioni hanno toccato il fondo, forse i tassi di interesse possono solo risalire. Si tratta di fasi necessarie per indirizzarci verso uno scenario più positivo. Il rischio di una battuta d’arresto è alto, ma non dimentichiamoci che sono cicli, e che ciò che scende prima o poi risale.
È il rischio
Stiamo attraversando una fase di correzione al ribasso. I rischi che si sono accumulati negli ultimi anni si stanno concretizzando; mi riferisco a una crescita economica più contenuta, a un’inflazione più elevata, a tassi di interesse più alti e ai rendimenti negativi nei mercati finanziari. Una delle interpretazioni del rischio è che riguarda la fase di turbolenza nel passaggio da una condizione all’altra. Secondo me è quello che sta accadendo in questo momento. Molto semplicemente, la politica monetaria sta passando da una situazione di emergenza dovuta al Covid a una strategia per combattere l’inflazione. La transizione è dolorosa, soprattutto per gli investitori dei mercati obbligazionari. Finora nel 2022 il rendimento complessivo delle obbligazioni globali è stato il peggiore dall’inizio degli anni ‘70. Non se la passano meglio i mercati azionari. Le valutazioni dell’epoca del Covid, sostenute dalla liquidità in eccesso, fanno parte del passato, gli yield obbligazionari più alti mettono sotto pressione le valutazioni azionarie e c’è il rischio che il ciclo degli utili inverta la tendenza. L’indice azionario MSCI World ha già registrato la terza peggiore performance dagli anni ‘70, superata solo da quella del 2008 con il congelamento del sistema finanziario, e quella del 1974 dopo l’embargo sul petrolio e le ripercussioni della guerra in Vietnam.
Vicini al picco?
Se sapessimo quando durerà la fase di transizione, saremmo più ottimisti sui mercati. Il problema è che non lo sappiamo. Coi dati di aprile e maggio non ci siamo più sentiti in grado di prevedere il picco del ciclo inflazionistico, che ora non appare più probabile prima del 3° trimestre. Se l’inflazione non raggiunge il livello massimo non possiamo neppure prevedere con fiducia quando i rialzi dei tassi raggiungeranno il picco (in termini di aspettative). Se non possiamo prevedere il momento in cui i tassi raggiungeranno il picco, non possiamo neppure determinare con fiducia i possibili effetti sull’economia. Un’inflazione più alta comporta una maggiore stretta monetaria e un maggior rischio di recessione. Le valutazioni dei mercati azionari non si trovano ancora ai livelli di una recessione.
La mappa
Possiamo però essere più ottimisti. Senza azzardare troppo, possiamo dire che nelle ultime due settimane è arrivato un po’ di sollievo dai mercati del petrolio. Negli Stati Uniti la domanda sembra rallentare e alcune parti dell’economia registrano un aumento delle scorte e una flessione dei prezzi. L’indice flash PMI manifatturiero negli Stati Uniti, in calo a giugno da 57,0 a 52,4, segnala un rallentamento della crescita. I segnali di un allentamento delle pressioni sui prezzi e di un rallentamento della crescita sono necessari per spingere la Federal Reserve a fermarsi. Non dimentichiamoci che la Fed vuole riportare l’inflazione entro il target nel medio termine, ma vuole anche un soft landing. Ciò significa che a un certo punto cambierà direzione, quando i dati mostreranno un significativo rallentamento dell’economia. La banca centrale americana vuole certamente evitare il crollo del mercato immobiliare o una crisi finanziaria nel settore corporate.
L’euro in difficoltà
In Europa potrebbe andare diversamente. Comunque, la Banca centrale europea (BCE) condivide l’obiettivo della Fed di riportare l’inflazione entro il target. Un euro più debole e le ripercussioni della crisi energetica dovuta alla Russia complicano la situazione. La BCE vuole anche contenere i rischi di “frammentazione” ed evitare una crisi come quella del 2011/2012. Dal punto di vista operativo non è semplice poiché deve gestire una stretta monetaria senza creare condizioni finanziarie che possano peggiorare significativamente il profilo di debito di Paesi come l’Italia. In tale scenario, un rally consistente dell’euro sarà difficile. È dunque plausibile che nel prossimo paio d’anni vengano riattivati i piani di acquisto di titoli. Nel peggiore dei casi, se venissero imposte delle condizioni, sarebbe possibile un ritorno all’austerity nei Paesi europei fortemente indebitati.
Notizie più positive per gli obbligazionisti
Le perdite accumulate dalle obbligazioni globali negli ultimi mesi sono le peggiori di sempre. Un mese fa dissi che il peggio era passato in termini del calo del rendimento complessivo. Questa settimana, gli yield obbligazionari negli Stati Uniti sono scesi ancora. Nel momento in cui scrivo lo yield sui Treasury a 10 anni è sceso di 43 punti base rispetto al recente massimo. L’indice total return ha toccato il fondo il 14 giugno. Le obbligazioni di nuova emissione presentano cedole più alte di 120/300 p.b. rispetto alle cedole medie sul debito esistente. È una buona notizia per chi investe in obbligazioni.
Il reddito regna sovrano
Persino in un periodo di tassi di interesse in calo, la componente del reddito prevale nel rendimento complessivo del reddito fisso. Naturalmente i gestori di fondi attivi cercano di sfruttare la volatilità dei prezzi per generare rendimenti migliori rispetto agli indici di riferimento, ma il reddito è fondamentale nel lungo periodo. Se consideriamo gli indici rappresentativi delle obbligazioni societarie britanniche, dell’Area euro, statunitensi e globali, dal 2000 la componente del reddito nel rendimento complessivo delle obbligazioni è stata tra il 95% e il 100%. Con gli yield molto più alti, gli investitori obbligazionari dovrebbero attendersi un rendimento complessivo più positivo nei prossimi mesi e anni. Lo yield non equivale al rendimento nel breve periodo, ma nel lungo termine sì, dunque le prospettive sono assai migliori con gli yield delle obbligazioni societarie USA al 5%, e al 4% nel Regno Unito. Gli yield più alti migliorano anche la capacità di copertura del reddito fisso nei portafogli multi-asset poiché la duration può salire di più/e gli yield scendere quando gli strumenti più esposti al rischio vengono messi sotto pressione.
Dati in peggioramento
Nel breve termine possiamo essere più ottimisti, ma la strada è ancora irta di ostacoli. I dati economici ufficiali non indicano una recessione in questo momento, nonostante le conclusioni che possiamo trarre dal rialzo dei prezzi dell’energia e degli alimentari, dall’aumento del costo per il servizio del debito e dagli effetti negativi sulla ricchezza. I dati probabilmente peggioreranno prima di iniziare a migliorare. Gli operatori del mercato sono piuttosto impazienti quando si tratta di attendere che gli effetti del cambiamento delle variabili economiche si ripercuotano sull’economia reale. Per via di tale comportamento, molti si perderanno il momento di svolta dei mercati perché i dati economici in tempo reale saranno ancora in fase di deterioramento. I dati comunque peggioreranno e questo potrebbe incidere sugli spread di credito e sulle valutazioni azionarie.
Azionario ancora in fase di correzione
La strada verso la ripresa sarà più lunga per l’azionario. Sarà fondamentale assistere al picco degli yield obbligazionari poiché ciò ridurrebbe le pressioni sui rating azionari. I rendimenti azionari a termine sono ancora superiori a quelli obbligazionari nella maggior parte dei mercati, ma negli Stati Uniti tale divario è diminuito, e potrebbe essere necessario un ulteriore calo dei PE per far scendere le valutazioni azionarie. Le aspettative di utile sono abbastanza alte, la stima di consensus è ancora di una crescita del 10% durante il prossimo anno. Se ci fosse una recessione, sarebbe difficile assistere a una crescita degli utili del 10%.
Azioni meno costose
Comunque, una serie di eventi a partire da un’inversione di tendenza nella crescita e nell’inflazione, che porterebbe poi alla fine dei rialzi dei tassi e a una politica più accomodante, aiuterebbe i mercati azionari. Tutto dipenderà dalla crescita e dagli utili e dalla portata del rallentamento. Se Jerome Powell riuscisse nel soft landing, assisteremmo a un rimbalzo dei rendimenti azionari, e se l’inflazione scendesse nel corso del 2023/2024 i titoli growth farebbero da apripista. Dopo tutto, una domanda elevata nel mercato del lavoro, sindacati più aggressivi, salari in aumento e le strozzature nelle catene di distribuzione aprono la strada alla tecnologia e all’automazione.
Adattiamoci
Le emozioni e la fiducia sono difficili da quantificare. Sono sicuro di essermi sentito così pessimista o incerto sul futuro anche in passato (crisi del meccanismo europeo di cambio, tracollo Lehman, COVID). Gli effetti dei cambiamenti climatici, la polarizzazione della politica a livello locale e globale, la reazione dell’economia globale alle ripercussioni del COVID sono tutte fonti di preoccupazione. Ma, nello stesso tempo, l’umanità reagisce, vuole una vita migliore, e le aziende e i singoli individui sanno essere creativi. Torniamo alle obbligazioni, a breve scadenza, se non vogliamo assumere un rischio troppo alto, e godiamoci il reddito più alto sugli investimenti a reddito fisso. Poi tornerà anche il momento delle plusvalenze.
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