Altre nubi all’orizzonte
La fiducia è scarsa e i rischi su scala globale sono numerosi, pertanto conservare la liquidità in portafoglio non è poi una cattiva strategia in questo momento. I tassi di interesse non erano così alti dall’inizio del millennio, e le banche centrali li alzeranno ancora prima di fine anno. Per mettere a frutto tale liquidità dobbiamo essere convinti che la fine del ciclo di rialzi dei tassi consentirà ad altre asset class di essere nuovamente competitive rispetto alla liquidità. Un primo passo in questa direzione potrebbe essere il reddito fisso a breve scadenza e a più alto rendimento. Oppure bisogna adottare un’ottica a più lungo termine. Storicamente, i rendimenti reali delle azioni globali sono stati mediamente del 6-7%. Il rendimento rettificato per il rischio a breve termine probabilmente sarà peggiore, ma a un certo punto la Federal Reserve cesserà i rialzi e la guerra finirà. Oggi, però, è difficile impegnarsi nel lungo periodo, per quanto una strategia di questo tipo, alla fine, potrebbe rivelarsi redditizia.
Sul piede di guerra
La fiducia scarseggia, l’avversione al rischio resta alta e nei mercati finanziari ci sono ancora pochi posti in cui rifugiarsi. Sulla base dei grandi temi macroeconomici, c’è valore in alcuni strumenti finanziari. I tassi di interesse stanno salendo ancora e le banche centrali non si tirano indietro. L’inflazione è esageratamente alta e continua sorprendentemente a salire. La crescita economica sta rallentando poiché i tassi più elevati iniziano a gravare sul costo del denaro e sui mercati immobiliari. La crisi dell’energia non si concluderà presto, l’OPEC vuole ridurre i costi di produzione e alzare il prezzo del petrolio, mentre i Paesi europei ipotizzano di ricorrere ai blackout durante l’inverno. Putin minaccia un’escalation del conflitto in Ucraina e il ricorso alle armi nucleari. Tutti questi fattori combinati tengono i mercati col fiato sospeso. Gli indicatori del rischio sono alti e, come abbiamo visto nel Regno Unito la scorsa settimana, la situazione può volgere al peggio.
Gli investitori quest’anno hanno subito gravi perdite ed è improbabile che recuperino prima di fine anno. Il nuovo anno inizierà con un reset del conto economico, ma lo scenario generale potrebbe non migliorare molto. L’economia globale ha subito diversi shock negli ultimi anni e la politica sembra allo sbando. C’è tensione tra la politica fiscale e monetaria. Non ci sono invece segnali di cooperazione internazionale sui problemi economici urgenti, per quanto l’alleanza contro Putin appaia robusta. Le provocazioni di Mosca delle ultime settimane potrebbero metterla a dura prova. La carenza di merci, lavoratori ed energia dimostra che l’economia globale è in difficoltà, e ciò potrebbe portare a un calo dei rendimenti per imprese e investitori.
In attesa della svolta
Nel breve termine gli investitori sperano che le banche centrali giungano presto alla conclusione di aver fatto abbastanza sul fronte della stretta monetaria. Era prematuro sperare in una svolta a luglio. In ultima analisi, quel che porterà a un nuovo orientamento di politica monetaria sarà un calo dell’inflazione abbinato a una flessione dei dati economici e a un aumento dell’instabilità finanziaria. Le banche centrali sono convinte che la fine della lotta contro l’inflazione sia ancora lontana. I mercati continuano a scontare nuovi rialzi nel breve termine, 125-150 p.b negli Stati Uniti prima di fine anno, 100-125 p.b. nell’Eurozona e 200-225 p.b. nel Regno Unito. Considerando i rialzi che sono già stati fatti, la stretta monetaria appare notevole. Ma le sofferenze non sono finite.
Il prossimo anno non dovrebbero esserci nuovi rialzi di tale portata. Per gli investitori, a fine anno dovremmo avvicinarci al “picco”. Tutto dipende dalla rapidità con cui le banche centrali reagiranno all’indebolimento dei dati e ai segnali di un rallentamento dell’inflazione. Se l’inflazione non scendesse, allora i tassi salirebbero ancora ed entreremmo in una recessione globale.
Le cattive notizie sul fronte macroeconomico sono una buona notizia per il mercato
Lo scenario migliore sarebbe una svolta derivante dal calo dell’inflazione. In tal modo le aspettative sui tassi di interesse scenderebbero, con effetti positivi per le obbligazioni. Un rapido indebolimento dei dati sulla crescita e la flessione dell’inflazione farebbero bene alle obbligazioni, l’attenzione tornerebbe a rivolgersi alle banche centrali che, in risposta ai crescenti rischi di recessione, dovrebbero prendere in considerazione un allentamento. Le stime sul Pil sono già state riviste al ribasso, ma quando i dati mostreranno effettivamente un rallentamento della crescita, ci si renderà conto che i mercati azionari dovranno rivedere le stime di crescita degli utili ulteriormente al ribasso. Sembrano ancora troppo alte. Per esempio, le stime di consensus sulla crescita dell’utile per azione per l’universo MSCI World Equity restano del 6,5%-7% per i prossimi 12 mesi. È un dato inferiore alla media, ma non ai livelli di una recessione. Paradossalmente, la revisione al ribasso degli utili determinata da una flessione dei dati aiuterebbe le azioni a toccare il fondo. Posso ipotizzare un S&P 500 poco oltre 3000.
Impennate di volatilità nel Regno Unito
Un altro fattore che potrebbe portare a una svolta sul fronte dei tassi sarebbe il deterioramento delle condizioni dei mercati finanziari. Ne abbiamo avuto sentore a fine settembre nel Regno Unito, quando la Bank of England è stata costretta a intervenire nel mercato dei Gilt. L’aumento degli yield ha fatto salire molto le richieste di copertura tra i fondi pensione britannici, in particolare per gli investimenti liability driven. Ciò ha portato alla vendita di Gilt e a un brutto circolo vizioso. La banca centrale ha contenuto la volatilità e stabilizzato il mercato. L’intervento, per quanto temporaneo, contrasta con le intenzioni dell’istituto di continuare con la stretta monetaria e il ridimensionamento del proprio stato patrimoniale. La causa immediata della crisi è stata la consapevolezza che i piani fiscali (espansivi) del nuovo governo contrastano con la politica (ovvero la stretta) monetaria. È ancora così, pertanto non possiamo escludere nuove ondate di volatilità nel mercato dei Gilt.
Gli indicatori del rischio
È un esempio, per quanto localizzato, che i mercati possono risentire dei rapidi cambiamenti delle valutazioni. Quest’anno i tassi di interesse sono saliti moltissimo, e ciò oggi si riflette nell’economia reale. I tassi ipotecari stanno salendo, con ripercussioni sui mercati immobiliari e su chi eroga i mutui. Il repricing alleggerirà in qualche caso la situazione patrimoniale. Gli indicatori di rischio del mercato segnalano indubbiamente un aumento della preoccupazione: la volatilità implicita di azioni, credito e obbligazioni è alta e gli swap sui tassi di cambio sono saliti a livelli che solitamente presagiscono l’acquisto di dollari dettato dal panico per il fabbisogno di finanziamento. Non siamo ancora arrivati al punto di rottura, ma nella mia carriera ho assistito ad abbastanza interventi contro le ondate di volatilità sul mercato da non sentirmi di escludere che ciò possa portare a un cambiamento della politica monetaria.
2022, l’anno della stretta
Il ritmo dei rialzi dei tassi degli ultimi mesi alla fine rallenterà e gli aumenti cesseranno. L’anno prossimo non ci sarà una stretta monetaria di pari portata (i fed fund non saliranno all’8%!). I mercati sono convenienti e gli investitori probabilmente avranno a disposizione parecchia liquidità all’inizio del nuovo anno. La liquidità in questo periodo paga, un fattore positivo quando la fiducia è così scarsa. Tuttavia, il sentiment potrebbe cambiare alla fine del ciclo dei tassi. Un anno di rendimenti negativi nel reddito fisso è abbastanza insolito, due anni consecutivi sono senza precedenti. Dunque, le obbligazioni andrebbero prese in considerazione per mettere a frutto la liquidità sui mercati.
Hurdle rate
Ora il problema è che il rialzo dei tassi sulla liquidità ha fatto salire il tasso minimo su tutto il resto, in particolare a fronte dell’incertezza macroeconomica e politica. La tesi delle valutazioni è ragionevole per azioni e obbligazioni, e l’aumento degli yield obbligazionari ha ripristinato i vantaggi di diversificazione del reddito fisso. Eppure la fiducia è talmente scarsa che serve qualche buona notizia per spingere gli investitori a sfruttare la liquidità in portafoglio. Vale la pena di passare da una liquidità in dollari che rende il 4% a strumenti più rischiosi? L’hurdle rate in euro è del 2,5% circa, per la sterlina del 5% circa.
Buona remunerazione dalle obbligazioni a breve scadenza
Per gli investitori che vogliono contenere la volatilità dei prezzi, il reddito fisso a breve duration oggi offre una buona alternativa alla liquidità senza incrementare troppo il rischio. Gli indici delle obbligazioni societarie investment grade con scadenza a 1-5 anni (Bank of America/ICE) in dollari, euro e sterline in questo momento hanno uno yield-to-worst rispettivamente del 5,36%, 3,80% e 6,57%. Un po’ più di rischio di credito fa salire ulteriormente il rendimento: high yield europeo all’8,24% e high yield USA al 9,2%.
Questi yield per le obbligazioni societarie sono dunque interessanti per gli investitori, ma sono meno positivi per la salute a lungo termine dell’economia. Prendere denaro a prestito per finanziare investimenti con yield di tale portata probabilmente rappresenta un rendimento reale elevato in un periodo di 5/10 anni, e si rischia un aumento delle insolvenze nell’high yield nel momento in cui le aziende dovranno rifinanziare il debito.
È difficile per le azioni competere con tali rendimenti nel breve termine, ma nel lungo periodo, dato che sono determinati dalla crescita dei ricavi e della redditività, i rendimenti azionari dovrebbero iniziare a sembrare più appetibili quando gli yield a breve termine scenderanno. Per il momento però è ancora meglio puntare sullo yield con poco rischio, finché non ci sarà veramente una svolta della politica monetaria e le nubi all’orizzonte dell’economia globale scompariranno.
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