L’autunno è arrivato e non semplifica le cose
La ripresa continua a essere rallentata dai problemi nelle catene di distribuzione. Il più recente riguarda l’impennata dei prezzi dell’energia. La domanda di energia non è elastica, per cui l’aumento dei prezzi grava sul reddito disponibile e frena la spesa per altri beni e servizi. Non è quello di cui abbiamo bisogno in questo momento. Comunque, i mercati finanziari non stanno scontando il rischio che tali sviluppi abbiano ripercussioni economiche più gravi. È più probabile che una correzione della crescita di metà ciclo provochi volatilità sul mercato rispetto a un tracollo dell’obbligazionario.
Crisi energetica
Il prezzo di un barile di petrolio è raddoppiato nel corso dell’ultimo anno. Oggi il prezzo a pronti del Brent è di poco inferiore agli 80 dollari al barile. Durante la prima ondata della pandemia era sceso brevemente al di sotto dei 20 dollari al barile, e dal 2014 non è mai stato così alto. Il prezzo del gas naturale sui mercati europei è quintuplicato nel corso dell’ultimo anno. Il prezzo del carbone è salito del 100% da settembre 2020. L’aumento dei prezzi alimenta le preoccupazioni inflazionistiche ed è una delle cause principali del recente incremento dei breakeven nel mercato obbligazionario. Certamente è ulteriore fonte di preoccupazione per gli investitori. Non è auspicabile che i prezzi dell’energia continuino a salire in concomitanza con il rialzo dei tassi di interesse. Il rapporto tra crescita reale e inflazione è già sceso, e storicamente questo non è mai stato un segnale positivo per i mercati azionari.
Offerta in crisi
I prezzi delle materie prime risentono sempre delle variazioni, seppur marginali, dell’offerta e della domanda. Per questo chi negozia in petrolio e altre materie prime monitora costantemente i dati ad alta frequenza sulle scorte. L’offerta carente o le impennate della domanda possono provocare un brusco aumento dei prezzi. In passato le organizzazioni come l’OPEC hanno sfruttato tale fenomeno a loro vantaggio: per bloccare la discesa dei prezzi non devono far altro che discutere di possibili tagli alla produzione. Dato che numerosi mercati stanno avendo difficoltà con gli approvvigionamenti, è ragionevole credere che l’attuale impennata dei prezzi dell’energia sia il risultato dell’aumento della domanda a seguito della ripresa economica dopo la pandemia, in combinazione con le interruzioni alla produzione dovute al coronavirus. Ne consegue che le scorte di gas naturale sono assai inferiori alla norma. La fornitura di gas naturale dalla Russia all’Europa è diminuita in vista dell’approvazione e dell’attivazione del condotto Nord Stream 2. Ma le carenze dell’offerta e i problemi nella distribuzione sono evidenti anche in Nord America e in Asia. A causa della scarsità di gas naturale e dell’aumento dei prezzi, gli utenti si rivolgono a fonti alternative di energia, facendo aumentare il prezzo del petrolio e di altri carburanti.
Senza benzina
Sono mercati complessi e le conseguenze del COVID saranno verosimilmente pesanti: dopo tutto serve personale per portare avanti le attività di perforazione, raffinazione e manutenzione delle raffinerie e degli oleodotti, e i lavoratori di questi settori non sono immuni alla malattia. A livello dei consumi, almeno in Gran Bretagna, a causa del Covid c’è carenza di autisti di autocisterne che rallenta la distribuzione di benzina. Anche la capacità portuale ne ha risentito, con conseguenze sugli scambi di gas naturale liquefatto. Gli Stati Uniti in particolare sono un grande esportatore di GNL in Asia. Ci sono dunque numerose ragioni per cui oggi i prezzi sono alti.
Prezzi e transizione energetica
C’è il rischio che i prezzi dell’energia restino elevati anche al di là degli effetti a più breve termine correlati alla pandemia. Il passaggio a un’economia a bassa intensità di carbonio riguarda importanti tendenze strutturali. La domanda di energia rinnovabile per generare elettricità e in altri processi industriali è in aumento. Queste fonti stanno sostituendo gradualmente i carburanti fossili, nonostante la domanda di petrolio sia ancora in ascesa. Sul fronte dell’offerta, gli investitori iniziano a disinvestire nei produttori di gas e petrolio per finanziare tecnologie e investimenti nel campo delle rinnovabili. Se la nuova tendenza degli investimenti determinata dal passaggio a un mondo con meno carbonio inizia a far aumentare il costo del capitale nel settore gas e petrolio, per cui la nuova capacità diventa meno conveniente dal punto di vista economico, allora per le aziende del settore diventa più difficile incrementare la capacità produttiva. I due fenomeni però non stanno accadendo con lo stesso ritmo. Le energie rinnovabili non sono ancora sufficienti per diventare la fonte principale di energia, tuttavia le pressioni degli investitori, politiche ed economiche nel lungo periodo stanno gravando sulla capacità dei carburanti fossili su scala globale. L’attuale aumento dei prezzi dell’energia potrebbe essere correlato a fattori a breve termine ma, concettualmente, è facile comprendere perché anche la transizione energetica possa far salire i prezzi. Se le rinnovabili fossero già in grado di sostenere la domanda supplementare, i prezzi non salirebbero.
Bisogna investire di più nelle rinnovabili
Chi sostiene che vanno incrementati gli investimenti e l’uso delle energie rinnovabili dirà che il costo per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili è sceso negli ultimi anni e che in molti casi è più conveniente rispetto ai carburanti fossili. È evidente, e tale tendenza continuerà grazie ai progressi tecnologici, man mano che il costo del capitale per le tecnologie verdi scenderà e il prezzo globale (più elevato) delle emissioni di carbonio si evolverà. Considerato però che la domanda di gas e petrolio continua a salire, le difficoltà sul fronte dell’offerta, sia per le rinnovabili che per le fonti di energia tradizionali, faranno salire i prezzi. Gli investimenti marginali in futuro verranno probabilmente diretti verso le rinnovabili, anziché verso gas e petrolio. Ciò potrebbe determinare un’offerta meno elastica e i prezzi potrebbero reagire bruscamente alle oscillazioni della domanda. La buona notizia è che tali dinamiche dovrebbero accelerare gli investimenti e l’uso delle fonti di energia rinnovabili, che diventeranno (auspicabilmente) più convenienti e meno volatili. A un certo punto, il predominio delle rinnovabili sarà tale che il prezzo del gas e del petrolio non avrà più rilevanza. Ma non siamo ancora a questo punto, pertanto la transizione energetica potrebbe essere caratterizzata dalla volatilità dei prezzi dell’energia. È evidente che dobbiamo investire ancora molto nella capacità, nell’immagazzinamento e nella distribuzione delle rinnovabili.
Prese di profitto sull’energia?
I mercati del petrolio e del gas naturale sono in backwardation, ciò significa che i prezzi dei future sono più bassi dei prezzi a pronti. È il classico segnale di una contrazione dell’offerta nel breve periodo, nonché l’indicazione che i prezzi scenderanno. La transizione energetica punta a una riduzione della domanda e dei prezzi di gas e petrolio in futuro. Ciò riduce dunque l’interesse, nel lungo periodo, per un investimento in aziende del settore dell’energia che non diversificano. Eppure, quest’anno, un’esposizione nelle società dell’energia è stata finanziariamente remunerativa per gli investitori. L’indice S&P500 per le società di esplorazione e produzione di gas e petrolio è salito del 67%. Nel mercato delle obbligazioni societarie globale, il settore dell’energia ha fatto meglio dell’indice generale. Per gli investitori attenti ai fattori ESG potrebbe essere quindi il momento di ridurre gli investimenti nei carburanti fossili. Quello che il mercato dei future ci sta dicendo sul fronte dei prezzi e quello che dovremmo aspettarci a livello politico e dei prezzi del carbonio sull’onda della COP26 porteranno a un’ulteriore riduzione delle esposizioni nelle società dell’energia tradizionali. Naturalmente ci sono diversi modi per farlo e pochi investitori stanno adottando un approccio radicale relativamente ai carburanti fossili. È comunque assai probabile che gli investitori abbandonino le società che continuano a produrre gas e petrolio trascurando la diversificazione e l’impatto ambientale.
Serve prudenza
Le prospettive macroeconomiche sono offuscate dall’impennata dei prezzi dell’energia. Se si tratta di un fenomeno temporaneo, potrebbe essere in linea con la previsione di un rallentamento dell’inflazione nel 2022. La curva dell’inflazione di breakeven negli Stati Uniti è stata negativa da inizio anno, dunque il mercato è ancora convinto che si tratti di un andamento transitorio. Tuttavia, le preoccupazioni più profonde sulle catene di distribuzione ci fanno pensare che i dati economici e la produzione potrebbero manifestare ancora qualche problema nel corso dell’inverno. Dal punto di vista dei mercati azionari, a mio parere, i timori per l’offerta e le ripercussioni sulle previsioni di ricavo e di utile sono un rischio maggiore rispetto a un consistente rialzo degli yield obbligazionari. Le previsioni di consensus per il tasso di crescita degli utili per azione a 12 mesi negli Stati Uniti e in Europa hanno già rallentato e le revisioni degli utili iniziano a invertire la tendenza. I fattori macroeconomici e i fondamentali si sono indeboliti di recente, staremo a vedere se la liquidità sarà sufficiente a sostenere i livelli del mercato.
Questione di tempismo
Durante uno degli incontri di test di cricket tra Inghilterra e India, il capitano inglese Joe Root aveva l’opportunità di chiedere la revisione di una decisione dell’arbitro sul “not-out” per un battitore della squadra indiana. Joe Root ha temporeggiato e alla fine non è riuscito a chiedere la revisione in tempo. L’analisi a posteriori ha dimostrato che il battitore era effettivamente fuori campo, ma la decisione dell’arbitro non poteva più essere cambiata. Il battitore così ha segnato, cambiando le sorti della partita. L’India ha vinto. Se penso alla decisione sul tetto del debito al Congresso americano, mi aspetto che si giunga all’accordo prima che il tempo scada. La tattica di arrivare a una decisione dell’ultimo minuto è tipica della scena politica americana. In questa fase, i mercati sono giustamente preoccupati. Immaginatevi se il Congresso facesse lo stesso errore di Root e non prendesse la decisione in tempo. Anziché continuare a trainare la ripresa e generare rendimenti robusti, un’insolvenza del Tesoro spingerebbe i mercati americani nel caos. Occhio al tempo che passa! (e mi scuso con i lettori che non hanno familiarità con i meccanismi del cricket).
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