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L'impatto della guerra in Ucraina dovrebbe dare impulso al processo di riduzione delle emissioni nette di carbonio

  • 25 Maggio 2022 (7 min di lettura)

L'ultimo rapporto internazionale sul clima ci ricorda l'urgenza di azzerare le emissioni nette di carbonio, in un periodo in cui prima la pandemia, e adesso la crisi ucraina, hanno capovolto l'ordine delle priorità. Ma il momento attuale potrebbe essere un'opportunità per accelerare la transizione.

 

Pubblicato solo qualche mese dopo la chiusura della COP26, l'ultimo rapporto sul clima dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è una lettura che fa riflettere. L'organismo della Nazioni Unite che si occupa di valutare gli impatti del cambiamento climatico ha lanciato l'allarme sui “molteplici rischi climatici" che il mondo dovrà affrontare nei prossimi decenni, anche se riuscissimo a contenere il riscaldamento globale entro +1,5°C.

Il rapporto afferma che anche il superamento temporaneo di questo livello di riscaldamento provocherà "ulteriori gravi impatti, alcuni dei quali saranno irreversibili. Aumenteranno i rischi per la società, inclusi quelli relativi a infrastrutture e insediamenti costieri”.

L'analisi ci ricorda l'urgenza di azzerare le emissioni nette di carbonio, in un periodo in cui prima la pandemia, e adesso la crisi ucraina, hanno capovolto l'ordine delle priorità sul fronte geopolitico e monetario.

Infatti, mentre l'IPCC evidenzia come ondate di calore, siccità e inondazioni stanno già causando mortalità di massa in alcune specie ed esponendo milioni di persone a grave insicurezza alimentare e idrica, l'attenzione in questo stesso momento si concentra su come assicurare la ripresa economica post-Covid-19 a fronte dell'impatto dell'invasione russa in Ucraina.

Con la ripartenza delle economie i prezzi hanno già incominciato a salire, facendo schizzare l'inflazione a livelli che non si vedevano da decenni, il che ha favorito l'aspettativa di un maggiore inasprimento monetario sia in Europa che negli Stati Uniti. Ma la guerra ha suscitato nuovi timori rispetto alla sicurezza energetica e all'approvvigionamento di combustibili, spingendo diversi paesi ad affannarsi per rivalutare le proprie scorte di combustibili fossili a fronte di ulteriori rincari.

 

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Nuove sfide

L'escalation delle tensioni politiche in conflitto militare ha scatenato forti ondate di vendite sui mercati azionari globali e ha fatto balzare il prezzo del greggio oltre i $ 100 al barile per la prima volta in sette anni. Questo atto di aggressione ha già avuto un costo umano spaventoso, e ha spinto l'Occidente ad applicare sanzioni al governo russo, oltre che ad alcune banche e a un certo numero di oligarchi. Ma l'impatto economico di questi interventi è destinato a farsi sentire in modo più esteso.

Al fulcro della questione sta il ruolo centrale della Russia come fornitore energetico. Allo stato attuale delle cose, l'Unione europea importa il 90% del proprio consumo di gas, e di questo il 45% circa è di provenienza russa. La Russia è inoltre responsabile di circa il 25% delle importazioni di petrolio e del 45% di quelle di carbone.

Allo stesso tempo, gli investimenti in impianti di generazione a combustibili fossili sono diminuiti, a fronte di una maggiore allocazione di capitale su modelli energetici più sostenibili. C'è chi obietta che questo vincoli la capacità del settore energetico di far fronte a un improvviso aumento della domanda, in quanto le rinnovabili non hanno ancora raggiunto una capacità sufficiente a coprire la potenziale carenza, e tecnologie come il solare e l'eolico non sono in grado di aumentare rapidamente i livelli di produzione.

L'International Energy Association (IEA) ha dichiarato che l'Europa deve agire in fretta; che deve prepararsi ad affrontare una forte incertezza riguardo alle forniture di gas russo già dal prossimo inverno. La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è espressa con toni simili, sollecitando i  paesi UE a una maggiore indipendenza dal gas, dal petrolio e dal carbone russi, in quanto l'Europa non può fare affidamento su un fornitore che la minaccia esplicitamente.

 

La transizione sull'orlo del baratro

Le azioni del Presidente Vladimir Putin hanno spinto il mondo sull'orlo di un precipizio rispetto alla transizione energetica. Riduzioni volontarie o forzate del consumo di energia di provenienza russa sposteranno la domanda verso altri fornitori e altre fonti, con possibili ulteriori aumenti dei prezzi nel breve. Sembra inoltre probabile che questa volontà di trovare la risposta più flessibile ai rincari e alle carenze energetiche possa spingere verso l'utilizzo di carbone, petrolio e gas proveniente da altri paesi a livelli incompatibili con la curva di riduzione delle emissioni e con il perseguimento dell'obiettivo net zero.

L'aumento della capacità di produzione di energie rinnovabili o di alternative come il nucleare richiede tempo e non risolve l'attuale crisi dei prezzi. Molti politici stanno già chiedendo di rimettere in funzione centrali a carbone dismesse per cercare di scongiurare la dipendenza energetica europea dalla Russia. Nel Regno Unito c'è chi ha proposto di riesumare il fracking per incrementare la produzione e allentare i prezzi del combustibile.[v]

Questo senso di urgenza è comprensibile, forse persino necessario in extremis, ma potrebbe essere francamente disastroso per l'ambiente se le azioni della Russia dovessero riportare in auge impianti a combustibili fossili, mettendo a repentaglio i tempi e la qualità del nostro percorso verso un'economia globale sostenibile. La transizione energetica non è mai stata così urgente – e qualsiasi singola proposta rischi di ritardare l'abbandono dei combustibili fossili dovrebbe essere vagliata con la massima scrupolosità.

Le scorciatoie prese nel presente difficilmente ci aiuteranno in futuro. In particolare, uno studio condotto nel Regno Unito ha mostrato come le bollette energetiche nazionali all'inizio di quest'anno siano risultate di circa 2,5 miliardi di sterline più alte di quanto sarebbero state se nell'ultimo decennio non fossero state accantonate numerose politiche climate-friendly. Le scorciatoie non faranno abbassare le bollette. Il momento in cui la nostra dipendenza dai combustibili fossili è più costosa e pericolosa di sempre non è il momento per aumentarla ulteriormente.

Così l'Europa deve affrancarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili russi. Ursula Von der Leyen ha lanciato un appello ad agire con urgenza per mitigare l'impatto dei prezzi elevati dell'energia, diversificando le forniture di gas e accelerando la transizione verso energie pulite.[vii] La Commissione europea ha prospettato un piano con questi obiettivi, che potrebbe svincolare l'Europa dalla dipendenza russa molto prima del 2030. Denominata REPowerEU, la strategia proposta cercherà di diversificare le fonti di approvvigionamento del gas, di accelerare l'introduzione di gas da fonti rinnovabili e di sostituire il gas negli impianti di riscaldamento e di generazione di energia. L'UE ritiene di poter ridurre le importazioni di gas russo di due terzi entro fine anno.[viii]

 

La prossima mossa

Il momento attuale potrebbe essere un'opportunità per accelerare la transizione in modo da contribuire a proteggere i paesi e gli investitori – da fasi di tensione simili che potrebbero prodursi nei prossimi anni. Il mondo è ancora troppo dipendente dai combustibili fossili per riuscire a ottenere una significativa riduzione delle emissioni di carbonio (CO2) nel breve periodo. Gli attuali rincari delle fonti di energia a intensità di carbonio dovrebbero spingere ulteriormente al passaggio alle rinnovabili in un momento in cui sono anche favorite da una flessione della curva dei costi a lungo termine, grazie agli sviluppi tecnologici. Dobbiamo prendere atto, tuttavia, che nel breve gli eventi recenti avranno delle ripercussioni.

Le emissioni di CO2 saranno probabilmente superiori a quanto si prevedeva un paio d'anni fa poiché, nel contesto attuale, il percorso di transizione alle rinnovabili sembra destinato ad essere più accidentato. Ne potrebbe risultare un picco più pronunciato della curva delle emissioni, e questo a sua volta dovrebbe imprimere un'accelerazione agli investimenti pubblici e privati in energia verde e nelle tecnologie correlate per contrastarne gli effetti. L'obiettivo ultimo dovrebbe essere quello di una flessione marcatamente più ripida della curva delle emissioni, con il beneficio di una maggiore sicurezza energetica. Anche l'idrogeno e il nucleare potrebbero favorire il processo, oltre al solare e all'eolico, come pure gli interventi di efficientamento energetico.

 

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Uno choc energetico prolungato, aggravato dalla guerra in Ucraina, ha riportato in primo piano l'urgenza e le implicazioni sociali della sicurezza energetica – i combustibili fossili hanno prodotto enormi problemi politici negli anni, e la dipendenza energetica dell'Europa da una Russia aggressiva non sarà certo l'ultimo. Anche il cambiamento climatico rappresenta una minaccia geopolitica fondamentale i cui effetti mettono a rischio il nostro modo di vivere. Non possiamo cercare di risolvere un problema perdendo di vista l'altro. Se non riusciremo a realizzare la transizione a un’economia a basse emissioni, non avremo una crescita economica sostenibile, e pertanto non potremo assicurarci un futuro prospero e sostenibile.

 

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