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Dalla Grecia all’Italia, tutti a caccia dei “digital nomads” (a suon di sconti fiscali)

  • 07 Gennaio 2021 (5 min di lettura)

Clima temperato, natura incontaminata e soprattutto poche tasse: con il coronavirus è partita la corsa di Paesi mediterranei e isole tropicali ad attirare gli smartworker più intraprendenti. Ecco le mete più gettonate.

 

L’ultima ad annunciare un taglio delle tasse è stata la Grecia: un bel 50% di sconto fiscale per un anno a chi trasferisce la propria residenza in terra ellenica nel 2021. Il megabonus dura dodici mesi ed è riservato a chi negli ultimi sette anni non è stato fiscalmente residente in Grecia. Ma Atene non è la sola ad avere messo gli occhi sui digital nomads: con la pandemia di coronavirus in corso, diversi Paesi (europei e non) stanno cercando di calamitare il più alto numero possibile di smartworker, possibilmente con robusti stipendi. Anche perché i flussi di pensionati verso l’estero sono bloccati per via del contagio.

La “guerra dei visti” ha quindi trovato una nuova frontiera nell’attirare a suon di sconti fiscali l’aristocrazia digitale, che armata di Pc portatile può trasferirsi con il suo giro d’affari o i suoi maxistipendi in paradisi come le Barbados o Bermuda, oppure in Grecia, Spagna o Portogallo. A maggior ragione in tempi di coronavirus, fuggendo ai lockdown delle grandi metropoli nordeuropee per immergersi nella natura mediterranea o tropicale.

Estonia porta del mercato Ue, Italia e Grecia al recupero degli espatriati

In Europa apripista è stata l’Estonia, tra i primi Paesi a offrire un programma di “residenza elettronica” (e-residency) per attirare a prezzi politici imprenditori anche non fisicamente domiciliati nel piccolo Stato baltico. Una “porta” di tutto rispetto per entrare nel mercato Ue, rivolta - come spiega il sito del Governo estone - a startup, digital nomads, freelance e digital entrepreneur.

In agosto poi Tallinn ha lanciato un nuovo “visto digitale”, che permette ai remote worker di vivere in Estonia lavorando anche come dipendenti per un’impresa registrata all’estero. Per ottenere il prezioso visto - che permette il libero accesso al resto dell’area Schengen - bisogna dimostrare di poter lavorare da remoto per un’azienda registrata al di fuori dell’Estonia, oppure di essere un imprenditore o un freelance. Il tutto con una soglia minima di reddito di 3.504 euro lordi al mese.

A darsi più da fare sul fronte digital nomads sono però Paesi del Mediterraneo come l’Italia, la Grecia o la Spagna, le cui economie già provate da anni di crisi sono state ulteriormente colpite dal coronavirus. Già dal 1° gennaio 2020 con il “decreto crescita” Roma ha aumentato i vantaggi per i cosiddetti “lavoratori impatriati”, quelli che trasferiscono la loro residenza fiscale nella Penisola: la percentuale di reddito esentasse è passata dal 50% al 70%, che diventa addirittura il 90% per chi sceglie di vivere in regioni del centro-sud come Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia. Il beneficio dura cinque anni, con la possibilità di proroga per un altro quinquennio, ma l’attività lavorativa dev’essere svolta prevalentemente in territorio italiano. L’obiettivo è cercare di recuperare almeno in parte le centinaia di migliaia di lavoratori qualificati emigrati oltreconfine.

Anche Atene, con il taglio del 50% delle tasse, cerca di riportare in terra ellenica almeno una parte degli 800mila greci che hanno lasciato il Paese tra il 2009 e il 2019 per la crisi economica, approfittando dell’“effetto Brexit” e del controesodo da una Gran Bretagna ormai fuori dall’Unione europea. Nelle ultime settimane pure la Croazia ha annunciato di voler introdurre il suo visto per i nomadi digitali. Ma le mete più gettonate restano quelle della penisola iberica, in particolare la Spagna, dove per ottenere un visto è richiesto un reddito minimo di 26mila euro l’anno.

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Zero tasse in Bermuda, ma serve reddito alto

Ma i paradisi dei digital nomads abbondano anche fuori dall’Europa. C’è per esempio Bermuda, arcipelago di trecento isole (una ventina delle quali abitate) nell’Atlantico: nel più antico e popoloso territorio d’oltremare britannico non esistono tasse sui redditi e un visto costa appena 263 dollari l’anno, anche se va detto che il costo della vita non è alla portata di tutti. Oppure ci sono Antigua e Barbuda, gruppo di isole tra l’Atlantico e i Caraibi scoperto nel 1493 da Cristoforo Colombo, che attende a braccia aperte gli ‘expats’ chiedendo però loro un reddito minimo di 50mila dollari l’anno e 1.500 dollari per un visto biennale. E ancora ecco la caraibica Barbados, altra ex colonia britannica dove ci si può trasferire con duemila dollari l’anno per il visto e almeno 50mila dollari di reddito. Di recente le Hawaii, lo Stato Usa con meno contagi da coronavirus, hanno lanciato il loro programma per attirare gli smartworker di nazionalità statunitense, offrendo anche voli gratuiti.

Quello dei visti ai nomadi digitali è un gol a porta vuota per isole tropicali e Paesi mediterranei, con il freddo Nordeuropa in difficoltà nel trattenere gli smartworker più intraprendenti. Secondo la speciale classifica di InterNations, community online di expats, il 2020 è stato l’anno della penisola iberica: le città preferite sono risultate Valencia, Alicante e Lisbona, seguite da Panama City, Singapore e Malaga. Mentre in fondo alla classifica troviamo Londra (al 51° posto), Dublino (al 58°), Parigi (al 61°) e - a sorpresa - le italiane Milano e Roma (rispettivamente in 63° e 65° posizione).

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