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Telelavoro e “Great Resignation” abbatteranno le emissioni di CO2?

  • 24 Gennaio 2022 (5 min di lettura)

L’avvento dello smart working nei Paesi sviluppati aiuterà la “transizione verde” o i suoi effetti sull’inquinamento sono limitati? Sembra ci siano due scuole di pensiero della ricerca scientifca. Ecco cosa dicono gli esperti.

Negli Stati Uniti Anthony Klotz l’ha battezzata “The Great Resignation”, ma tanti altri la chiamano semplicemente “Yolo economy”, acronimo nato dalle iniziali di “You Only Live Once”, “si vive una volta sola”.

È un fenomeno nuovo dalle dimensioni importanti: l’ondata di dimissioni volontarie che si sta verificando in molti Paesi sviluppati, dagli Stati Uniti (dove circa 20 milioni di lavoratori si sono licenziati tra aprile e ottobre del 2021) alla stessa Italia (dove gli addii alle aziende sono aumentati del 10% rispetto ai livelli precedenti alla crisi). Il World Trend Index 2021, sondaggio condotto da Microsoft su oltre 31mila intervistati, ha rivelato che oltre il 40% della forza lavoro globale vuole lasciare il proprio posto attuale e il 46% vuole continuare a lavorare da remoto (per l’Italia le due percentuali scendono rispettivamente al 33% e al 38%).

Per molte persone, insomma, l’esperienza del telelavoro non sembra essere stata così negativa. Anzi. La rivoluzione dello smart working continuerà anche a pandemia finita, e con numeri di tutto rispetto: secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro (ma anche di quelle dei ricercatori dell’Università di Chicago) almeno il 20% dei lavori può essere compiuto da casa, percentuale che sale al 45% in Europa Occidentale. Ma uno dei grandi interrogativi è: l’avvento del telelavoro aiuterà ad abbattere il livello di emissioni, contribuendo alla lotta contro il climate change? La risposta non è semplice, e gli esperti sono divisi.

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Smart working ed emissioni inquinanti, gli studi sulla Germania

In Germania, uno studio di Anna Breitkreuz e Lisa Büttner dell’IZT-Institute for Future Studies and Technology Assessment ha provato per conto di Greenpeace a calcolare la riduzione delle emissioni in caso di incremento dello smart working per il 40% dei lavoratori tedeschi. I risultati, ottenuti sulla base dei dati resi disponibili dal ministero federale dei Trasporti, sono impressionanti: sul tavolo c’è l’abbattimento di 2,8 milioni di tonnellate di CO2 in caso di un giorno aggiuntivo di telelavoro, che salgono a 5,4 milioni di tonnellate per due giorni (pari al 18% delle emissioni complessive legate al pendolarismo casa-ufficio).

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Fonte: Studio Greenpeace

Questi risultati si accompagnano a quelli di altri due studi, che sempre per la Germania - nell’ipotesi di un telelavoro esteso al 10% della popolazione - calcolavano una riduzione di emissioni compresa fra gli 0,9 milioni e gli 1,6 milioni di tonnellate di CO2.

Quanto alla Gran Bretagna, un report del 2014 di Carbon Trust stimava un risparmio di quasi quattro quintali di CO2 per ogni lavoratore in smart working per due giorni alla settimana.

Altre analisi e l’accento sui consumi domestici

Attenzione però a non fare di tutta l’erba un fascio. Un’altra analisi, redatta dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE), sottolinea come l’impatto ambientale del telelavoro dipenda da una miriade di fattori da declinare sulle singole aree geografiche. Gli Stati Uniti, per esempio, sono molto più “energivori”: in media i pendolari percorrono in auto 18 chilometri, contro i 15 dell’Europa e gli 8 della Cina. E le grandi vetture americane consumano circa il 45% di carburante in più rispetto a quelle europee (molto più efficienti sotto il profilo della riduzione delle emissioni). Va poi tenuto conto anche dell’utilizzo in auto dell’aria condizionata, che è in grado di aumentare fino del 20% i consumi di carburante nei Paesi caldi, con picchi del 40% nelle aree urbane più congestionate, dove è normale restare incolonnati in mezzo al traffico sotto un sole cocente.

Il report dell’Agenzia Internazionale per l’Energia sottolinea anche come il telelavoro comporti un aumento dei consumi domestici di elettricità compreso tra il 7% e il 23%, a seconda del clima, della stagione, delle dimensioni e dell’efficienza energetica dell’immobile. Nel complesso però secondo l’AIE i risparmi di energia legati allo smart working sono il quadruplo rispetto all’aumento dei consumi domestici, con il risultato di abbattere i consumi di circa 250mila barili di petrolio al giorno (11,9 milioni di tonnellate di petrolio equivalente l’anno).

È invece molto meno ottimista uno studio della società di consulenza londinese WSP UK, secondo il quale lo smart working britannico è in grado di ridurre le emissioni solo d’estate. Questo perché la necessità di riscaldare centinaia di case di smartworkers anziché un unico edificio pieno di uffici rende poco ecosostenibile la scelta del telelavoro, nonostante l’abbattimento delle emissioni delle auto. I moderni uffici, inoltre, hanno un miglior isolamento termico rispetto alle abitazioni private. D’estate invece la situazione si capovolge, visto che in Gran Bretagna in generale non c’è bisogno di condizionatori.

Ogni Paese insomma fa storia a sé, spiega lo studio di WSP UK: in Norvegia per esempio più del 40% dei veicoli è elettrico, quindi il tragitto casa-ufficio ha un impatto ambientale ben minore di quello percorso con le grandi ed assetate auto statunitensi. Di conseguenza uno smartworker norvegese abbatte le emissioni molto meno di un suo collega americano. Mentre in Italia, nelle aree più afflitte dall’inquinamento atmosferico, il telelavoro non è sufficiente a sconfiggere lo smog.

Uno studio di Alessandro Rovetta ha rivelato come in Lombardia nemmeno il crollo del traffico veicolare del 50-60%, vissuto durante il primo lockdown legato al Covid-19, sia stato in grado di abbattere significativamente i livelli di PM10 e PM2,5, le micidiali polveri sottili.

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