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Strategia Mensile

I primi effetti iniziano a vedersi

  • 30 Marzo 2022 (7 min di lettura)

Punti chiave

  • I prezzi del gas all’ingrosso si sono abbassati, ma l’impatto della guerra in Ucraina sull’area dell’euro emerge chiaramente dalle indagini sia a livello di consumatori che di imprese.
  • Le politiche fiscali nazionali cercano di mitigare lo choc sulla crescita, ma non c'è accordo su una risposta europea congiunta.
  • Le ulteriori pressioni sul prezzo del petrolio rafforzano l’intenzione della Federal Reserve di intervenire “in fretta e con forza”.
  • Le valutazioni si sono adeguate.
  • Le incertezze a livello macro continueranno a pesare sulla fiducia degli investitori.
  • Il settore del credito inizia ad apparire più interessante.

 

Uno choc della fiducia

I prezzi energetici sono il principale canale di trasmissione degli effetti della guerra in Ucraina sull'economia mondiale. I prezzi del gas, elemento cruciale per l’Europa, hanno registrato una decisa correzione dal picco di oltre EUR 200/MwH di inizio marzo, a circa EUR 100/MwH a fine mese. Probabilmente il mercato anticipa un proseguimento delle forniture di gas russo ai paesi UE senza interruzioni. Mosca ha bisogno di tutta la valuta forte che è in grado di ottenere, ora che la sua banca centrale non può accedere al grosso delle riserve, mentre l’Unione europea non ha una soluzione pronta per svincolarsi nel breve dalla dipendenza dal gas russo – l’impegno degli Stati Uniti a fornire all’Europa 15 miliardi di metri cubi in più di GNL compenserebbe solo per il 10% le importazioni dalla Russia.

Nonostante il ritracciamento del prezzo del gas, le ricadute economiche della guerra in Ucraina sono sempre più tangibili nell’area euro, specialmente in Germania, dove le componenti prospettiche dell’indagine IFO per il settore manifatturiero sono scese sotto i livelli della “mini recessione” del 2012-2013. Anche la fiducia dei consumatori ha subito un duro colpo a marzo, e questo dato è assai indicativo dell’entità delle ripercussioni. Fino a questo momento, i settori più colpiti sono quelli a maggior consumo energetico e orientati all’esportazione. L’impatto dello choc d’inflazione sulla spesa per i consumi, e di conseguenza sui servizi, può essere in qualche misura mitigato dalla politica fiscale, e sia la Francia che la Germania hanno rafforzato i rispettivi piani di stimoli a breve termine, avvicinandosi all’1% del PIL. Tuttavia, se i consumatori dovessero repentinamente passare a una visione più pessimistica, l’effetto positivo si perderebbe di fronte ad un aumento dei risparmi in ottica prudenziale.

I responsabili della politica fiscale e monetaria europea sembrano puntare a una sorta di “divisione dei compiti”: la politica fiscale dovrebbe concentrarsi sulla protezione dell’attività economica, mentre il compito della BCE sarebbe quello di tenere ancorate le aspettative inflazionistiche. In ogni caso, se l’arma fiscale dovesse dimostrarsi spuntata, la BCE sarebbe costretta a riconsiderare il suo “graduale percorso di normalizzazione”. Non ci sembra molto plausibile però, stante l’attuale livello di pressioni inflazionistiche, che la politica monetaria possa offrire ulteriori stimoli. La stretta monetaria potrà essere posposta, ma è difficile che ci sia un'inversione di rotta.

In tale contesto, la periferia viene a trovarsi in condizioni di fragilità. Fino a questo momento, la pressione sul mercato è stata contenuta, e i rendimenti sovrani a lungo termine dell’Italia restano sotto l’attuale tasso d’interesse medio del debito (2,5%), una situazione che mantiene il debito pubblico a un livello ancora gestibile. Tuttavia, avremmo sperato in un più rapido e maggiore progresso nella mutualizzazione del debito europeo prima della fine del Quantitative Easing. Da questo punto di vista, la riunione del Consiglio europeo di marzo è stata deludente. Dovremo probabilmente aspettare fino a fine maggio e un rapporto della Commissione europea per vedere qualcosa di sostanziale sulla questione, e per il momento manca ancora un supporto chiaro della Germania, che potrebbe essere risolutivo.

Se il prezzo del gas si è allentato, resta ancora alto quello del petrolio. In parte questa divergenza si spiega con il fatto che, dovesse procedere con un’escalation delle sanzioni, per l’UE sarebbe più facile boicottare la Russia sul petrolio che sul gas. Ma anche questo non influirebbe molto sulla quantità di petrolio disponibile sul mercato globale. Potrebbero forse essere più decisive le tensioni con l’OPEC, una certa riluttanza degli USA ad aumentare la produzione di petrolio convenzionale a fronte delle incertezze normative, e le difficoltà della catena di approvvigionamento. In ogni caso, l’inflazione dei prezzi per i consumatori  negli Stati Uniti continua ad aumentare, e questo a sua volta rafforza l’intenzione della Federal Reserve di procedere “con decisione e rapidamente”, per riportare sotto controllo l’inflazione. Negli ultimi tempi, la comunicazione della Fed ha assunto toni decisamente aggressivi, e il mercato obbligazionario ha reagito, portando infine i rendimenti decennali sul livello a lungo termine indicato per i Fed Funds nelle previsioni del FOMC. Ci resta comunque qualche dubbio rispetto alla capacità della Fed di realizzare interamente il previsto inasprimento. Nonostante l’aumento dei salari nominali, le retribuzioni reali negli Stati Uniti si abbassano, e questo è destinato a ripercuotersi in modo sempre più evidente sui consumi. Associato all’impatto dell’inasprimento delle condizioni del credito sull’attività delle imprese e alla probabile paralisi fiscale entro fine 2022 in caso di vittoria dei repubblicani alle elezioni di metà mandato, l’attuale “surriscaldamento” dell'economia statunitense potrebbe tradursi invece in un abbassamento del tasso di crescita.

 

Le valutazioni migliorano ma i mercati non sono convenienti

I premi per il rischio aumentano in tutte le asset class in risposta alla crescente incertezza causata dall’inflazione, dalla stretta monetaria e dal conflitto in Ucraina. In altre parole, le valutazioni migliorano. Ma ciò significa necessariamente che il mercato sia più “conveniente”? Negli ultimi anni, i prezzi degli asset sono stati per lo più determinati dalla politica monetaria di quantitative easing, che ha avuto un impatto diretto sui prezzi delle obbligazioni e che ha determinato decisioni di allocazione dei portafogli all’origine di una riduzione dei premi al rischio. Se volessimo essere provocatori, potremmo affermare che i prezzi di molti asset si sono scollati dai fondamentali. Oggi i mercati si stanno riposizionando rispetto a una fase di spinte inflazionistiche associate all’incertezza della crescita, senza quella che è comunemente descritta come “l’opzione put delle banche centrali”.

I prezzi degli asset hanno già registrato aggiustamenti piuttosto importanti dai livelli elevati raggiunti per effetto delle politiche di supporto avviate sulla scia dello scoppio della pandemia. Il rendimento del Bund decennale è più alto di di 120 punti base rispetto ai livelli di metà 2020, mentre quello dei Treasury ha recentemente raggiunto il 2,5%, dal minimo dello 0,5% di metà 2020. Anche gli spread del credito si sono ampliati. Ad esempio, gli spread per gli swap su indici Investment Grade  in Europa hanno di recente raggiunto i  90 punti base, il doppio rispetto al livello minimo toccato dopo lo scoppio della pandemia. Un andamento analogo si è visto anche nel segmento HY e nei mercati del credito USA.

Un’altra caratteristica di quest’ultimo anno è stato il de-rating del mercato azionario. Stando ai dati pubblicati da Bloomberg,il rapporto prezzo/utili nell’indice MSCI World nel quarto trimestre del 2020 ha toccato il picco di 32,9 volte gli utili, con una flessione a 21,4 alla fine dell’anno scorso. L’avvento della stretta monetaria tipicamente comporta un abbassamento dei rapporti prezzo/utili di diversi punti, con la naturale conseguenza di una flessione dei prezzi azionari. Quest’anno quasi tutti i mercati azionari hanno registrato total return negativi, e lo stesso si è verificato nei mercati a reddito fisso, per effetto dei rialzi dei tassi.

Di qui in avanti sarà interessante il comportamento degli investitori. La flessione dei prezzi degli asset suggerisce un possibile incremento dei rendimenti futuri. Le perdite subite negli ultimi mesi, in particolare nei mercati a reddito fisso, si collocano decisamente a sinistra nella distribuzione dei rendimenti storici. L’impatto incrementale sui rendimenti di ulteriori aumenti dei tassi obbligazionari rispetto ai livelli attuali è molto più contenuto rispetto al momento in cui questi aumenti iniziarono a prodursi a inizio 2021. Negli Stati Uniti, il rendimento del Treasury a 10 anni ha raggiunto il 2,5%, un valore prossimo al picco del tasso sui Fed Funds implicito nel noto grafico “dot plot” del FOMC. Le curve piatte e i mercati a termine suggeriscono che i rendimenti non saliranno di molto da questi livelli.

Anche gli spread del credito appaiono più interessanti e si collocano a livelli che, storicamente, sono stati associati a una sovraperformance rispetto alle obbligazioni governative. Il rendimento del mercato IG USA è vicino al 4%, mentre quello del mercato HY supera il 6%. Analogamente, in tutti i mercati azionari, l’earning yield (l’inverso del P/E ratio) supera le medie a lungo termine e, rispetto ai rendimenti obbligazionari, fa apparire attrattivi gli investimenti azionari. Ciò avviene in particolare in Europa e in Giappone, dove i rendimenti obbligazionari hanno registrato oscillazioni meno ampie rispetto agli USA.

L’aspettativa di un ritorno verso la media (la c.d. “mean-reversion”), con l’idea che le banche centrali non permetteranno un rialzo eccessivo dei tassi d’interesse, potrebbe essere una posizione pericolosa. Sebbene le valutazioni siano migliorate, l’incertezza del quadro macroeconomico costituirà un’elevata barriera psicologica per molti investitori. Esiste chiaramente una roadmap verso un miglioramento dei rendimenti del mercato. Un picco dell’inflazione primaria negli USA e in Europa nei prossimi mesi sarebbe un segnale positivo. Probabilmente sarebbe anche necessaria una svolta nel conflitto in Ucraina. Se a questi elementi si aggiungesse anche un allentamento dei timori riguardanti le forniture energetiche e di altri materiali, la fiducia degli investitori migliorerebbe, e la guidance delle banche centrali rispetto all’outlook sui tassi sarebbe più decisiva.

I rendimenti obbligazionari, gli spread di credito e i multipli azionari indicano ancora che i prezzi degli asset sono meno convenienti che durante l’ultimo ciclo di inasprimento monetario USA. Gli investitori hanno bisogno di elementi di riferimento, e l’ultimo ciclo offre il riferimento più prossimo in termini di aspettative sulla politica monetaria (picco del 2,5%). Tuttavia, l’inflazione e il contesto geopolitico sono diversi. Non è chiaro se gli adeguamenti in termini di valutazione dei prezzi degli asset siano già esauriti. Per l'azionario in particolare, l'ipotesi di una recessione che si inneschi nel momento in cui la Fed concluderà i suoi interventi di rialzo dei tassi suggerisce la possibilità di ulteriori revisioni in negativo delle aspettative sugli utili nel prossimo futuro, specialmente negli USA. I rischi principali restano quello di un aumento dei rendimenti obbligazionari e di una riduzione degli utili. Con un orizzonte temporale più lungo, la prospettiva di un tasso d'inflazione persistentemente più elevato di quello predominante prima del 2021, l'aumento della spesa per difesa, sanità ed energia, e la pressante necessità di accelerare la transizione verso l'azzeramento delle emissioni nette potrebbero implicare che la prevalenza di rendimenti obbligazionari negativi, e multipli prezzo-utili in area x25 o oltre saranno solo un ricordo lontano.

Trovare valore in un contesto di incertezza macroeconomica non è semplice. I principali rischi a livello macro sono ancora costituiti dagli aumenti di tassi d’interesse e inflazione e dal rallentamento della crescita. Questa situazione tende a essere propizia alle strategie obbligazionarie short-duration, alla protezione dall'inflazione e all'esposizione azionaria quando c'è maggiore visibilità sugli utili. I mercati del credito offrono in prospettiva rendimenti più interessanti per gli investitori obbligazionari, ma occorrerà un cambiamento dei principali driver macroeconomici per creare condizioni di mercato in grado di compensare le perdite subite negli ultimi sei mesi.

Presentazione completa della nostra strategia mensile globale di marzo
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