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La Parola a Tentori

Debito pubblico: ottimismo e realtà

  • 21 Febbraio 2022 (3 min di lettura)

Leggo spesso sulla stampa locale di una crescita economica sostenuta che per una volta posiziona il paese ai primi posti dell’Eurozona. Non leggo con la stessa frequenza invece che il forte tasso di crescita del 2021 (+6.5%) fa seguito alla forte contrazione del 2020 (-8.9%). E non solo. Se da un lato viene celebrato il trionfo del PIL, dall’altro si omette l’insuccesso del debito, cresciuto di 105 mrd nel 2021 e di ben 163 mrd nel 2020. Nell’era dell’euro e prima dello shock da Covid19, il debito pubblico italiano era cresciuto in media di 53 mrd all’anno, con una punta di 101 mrd nel 2009, abbastanza da innescare la crisi del debito sovrano.

Ma non sarà certo una semplice media a preoccupare. D’altronde, nell’era della cooperazione tra politica monetaria e fiscale – no, non ho detto Nuova Teoria della Moneta… – ogni desiderio può venire finanziato. Anzi, la sbandierata contrapposizione alla politica di austerità del Fondo Monetario Internazionale di una decade orsono è vista dall’establishment globale come un vessillo di virtuosa politica. Salta quindi immediatamente all’occhio la forte dissonanza di uno spread in aumento, dopo aver toccato brevemente dodici mesi fa livelli simili a quelli di marzo 2015, in piena euforia da QE. Non sarà mica un ritorno ai fondamentali di crescita, di inflazione e di indebitamento a far lievitare il costo di rifinanziamento del paese? Potrebbe essere, visto che gli spread di tutti i paese membri hanno subito una variazione. Rimane però il fatto che lo spread dei paesi meno “frugali” sia aumentato in maniera più consistente.

Ma veniamo al dunque. Vorrei riprendere qui il risultato di una analisi che abbiamo condotto l’anno scorso: In sintesi, anche con un aumento della crescita potenziale, con una inflazione al target del 2% e con una graduale convergenza verso il costo di finanziamento medio degli emittenti sovrani dell’Eurozona, il rapporto debito/PIL italiano ci metterebbe circa dieci anni per ritornare ai livelli pre-Covid19. Ora, è innegabile che il PNRR sia cosa buona e giusta, ma purtroppo, come dice l’acronimo, si tratta appunto di un “piano” e non di una “garanzia”. Leggo sull’enciclopedia Treccani alla voce “piano”: “Complesso di indicazioni, ordinatamente elaborate e prefissate nella loro successione…secondo le quali si intende predisporre e regolare lo svolgimento di un’azione…di un’impresa.” Non leggo di garanzie sull’esito dell’impresa.

La crescita potenziale in Italia viene stimata tra 1.1% e 1.3% nel biennio 2022/23, dopo un potenziale di 0.3% nel periodo 2001/2020 e una crescita annua del PIL effettiva di appena 0.2% nello stesso periodo. La teoria economica non lascia scampo. Il fattore di crescita più importante nel lungo periodo è la tecnologia che aumenta la produttività dei fattori di produzione. Risparmio al lettore un lungo excursus sulla scuola economica viennese e sulla centralità del processo di produzione. Non risparmio però allo stesso lettore la conclusione del mio racconto: Se il PNRR verrà utilizzato per aumentare la crescita potenziale del paese allora si potrà inaugurare una lunga e spettacolare stagione di benessere su tutti i fronti (incluso l’ambiente), altrimenti saranno stati comunque cinque anni di apparente benessere a spese della comunità europea.

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