Il prossimo passo della Fed: taglierà o non taglierà?

  • 09 Maggio 2024 (5 min di lettura)
Introduzione
Occhi puntati sul prossimo appuntamento con la Fed a giugno. Quale sarà il prossimo passo? La banca centrale americana, ma anche le sue controparti europee, sembrano orientate a una politica più attendista.

“Higher for longer”, tassi più alti più a lungo è l’attuale filosofia delle banche centrali. I recenti dati macroeconomici sugli Stati Uniti hanno cambiato le carte in tavola e costretto la Federal Reserve (Fed) a lasciare i tassi invariati a maggio, fra il 5,25% e il 5,50% (ai massimi da 23 anni).

I mercati hanno smesso di scommettere su un taglio a giugno (dato solo al 20% di probabilità) e si aspettano solo uno o due tagli nel 2024 (rispetto ai cinque/sei prezzati a inizio anno).


Politica monetaria data-dependent

E non è escluso che anche la Banca centrale europea (Bce) e la Bank of England (BoE) seguano questo orientamento e lascino invariati i tassi nelle prossime riunioni. Molto dipenderà dai dati macroeconomici.

Intanto l’economia statunitense ha incominciato a rallentare, accusando l’impatto della politica monetaria. Nel primo trimestre è cresciuta “soltanto” dell’1,6%,  meno delle attese del mercato, rispetto al 3,4% del quarto trimestre 2023. La domanda appare più debole, ma l’inflazione resta alta.


Una notizia bomba

Secondo Alessandro Tentori, CIO Europe di AXA Investment Managers, i mercati non hanno dato il giusto peso (volutamente?) a una notizia bomba emersa nell’ultima comunicazione della Fed, quando Jerome Powell ha segnalato la “mancanza di progresso” dell’inflazione verso il target del 2% della banca centrale. In altre parole, il processo di riduzione dell’inflazione si sarebbe arenato nel cosiddetto ultimo miglio.

“Non sembra che il mercato l’abbia presa in considerazione”, nota Tentori, ricordando che gli economisti di AXA IM hanno modificato la view sui tagli nel senso che ora ne prevedono solo due (e non tre), a settembre il primo e a dicembre il secondo.

Secondo Tentori “è possibile che, soprattutto negli Stati Uniti, ci sia una politica più attendista di quella che scontano i mercati”.


Tre scenari per l’economia USA

Sono tre gli scenari per l’economia statunitense sui quali ragionano gli economisti ad AXA IM. Si cerca in particolare di capire cosa accadrebbe se si entrasse in ciascuno di essi. Questi scenari sono “soft landing”, recessione e “no landing”.

“Al momento i sondaggi di Bank of America mostrano un mercato diviso, con il 60% circa che scommette su un soft landing, circa un terzo sul no landing e il resto sulla recessione”, spiega Tentori.

Lasciando da parte lo scenario di recessione, che consideriamo improbabile, e quello di soft landing, cosa accadrebbe se entrassimo in uno scenario di no landing (ovvero, uno scenario in cui l’economia continua a crescere indipendentemente dal risultato della politica della Fed sull’inflazione)?

In questo caso, commenta Tentori, ci potremmo trovare di fronte a due diversi sotto-scenari: uno stile anni ’90 (1995) e uno di surriscaldamento dell’economia. Nel primo sotto-scenario avremmo “produttività in aumento, tassi che devono salire, un’inflazione che riflette la forza dell’economia e quindi una politica monetaria che dovrebbe riflettere una strategia più alla Alan Greenspan”. Nel secondo caso, potremmo avere “un surriscaldamento dell’economia, con la possibilità che la banca centrale compia un errore di politica monetaria, ovvero che possa lasciare surriscaldare troppo l’economia, oppure alzare ancora di più i tassi d’interesse portando l’economia a una recessione”, conclude l’economista.


Analisi dei dati macro

Gli indicatori di sorpresa elaborati da Citigroup ci mostrano la differenza tra i dati economici e quelle che erano le aspettative.

Da questo modello si vede che “nelle ultime settimane c’è stato un netto peggioramento delle sorprese sui dati macroeconomici USA, rispetto alle aspettative degli analisti”, spiega Tentori. Le sorprese sono positive sull’inflazione statunitense (linea blu) e sulla crescita in eurozona (linea arancione):

Fonte: AXA IM, Bloomberg, Citigroup.

L’ultimo indicatore sull’andamento dell’inflazione statunitense usato dalla Fed (vedi grafico) mostra cosa succederebbe alla variazione annuale se mese dopo mese, da inizio anno avessimo una media dello 0,36% dell’indice PCE (che misura i prezzi pagati per beni e servizi da chi vive negli Stati Uniti):

Fonte: AXA IM, Bloomberg.

“A fine anno l’inflazione andrebbe a sfiorare il 5%, in controtendenza non soltanto con la narrazione degli analisti, ma anche con quel che ci stanno dicendo le banche centrali, a parte la Fed, che ha detto che il progresso rispetto al target si è fermato”, sottolinea Tentori.


Il mercato del lavoro statunitense resta resiliente

Oltre a Pil e inflazione, un altro dato molto importante per le banche centrali è quello sul mercato del lavoro. I dati più recenti confermano la buona salute del mercato del lavoro statunitense. Tuttavia, nota Tentori, siamo in presenza di una “normalizzazione sia dell’offerta che della domanda”.

Fonte: AXA IM, Bloomberg.

Altri indicatori, come la “regola di Sahm”, non segnalano per il momento il rischio di una recessione per il mercato del lavoro. 

Fonte: AXA IM, Bloomberg.

Contrariamente alle iniziali attese dei mercati, quindi, la Fed sembra orientata a mantenere i tassi alti più a lungo e i suoi prossimi passi dipenderanno molto dall’evoluzione dei dati macroeconomici.

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