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La Versione di Iggo

Perché la geopolitica non deve sviare la transizione energetica - né la determinazione degli investitori

  • 26 Maggio 2022 (5 min di lettura)

Da qualche anno a questa parte, sicurezza energetica, affidabilità delle supply chain globali e cambiamento climatico sono aspetti inestricabilmente connessi tra loro. Le tensioni geopolitiche e le questioni ambientali hanno spinto le imprese a puntare su catene di approvvigionamento più corte e a cercare di ridurre la propria impronta di carbonio, mentre i governi sono stati indotti a integrare la sostenibilità nelle politiche fiscali e nella pianificazione degli investimenti pubblici.

All'escalation delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina nel 2018 è seguito lo shock globale della produzione legato al Covid-19 e, di conseguenza, è stata messa in discussione la globalizzazione. Più di recente, la guerra in Ucraina ha fatto emergere problematiche connesse alla sicurezza alimentare ed energetica – oltre a evidenziare come gli allineamenti geopolitici possano mettere in crisi il sistema commerciale globale. Ne è conseguito uno stato di incertezza rispetto all'andamento dell'inflazione e alla crescita economica nel breve-medio periodo.

Possiamo supporre che gli investitori debbano rivedere le proprie previsioni, probabilmente basate sul contesto pre-2018 caratterizzato da bassa inflazione, bassi tassi d'interesse, mercati e processi produttivi globalizzati, e premi al rischio ridotti sui mercati finanziari. 

Il nostro approccio di investimento responsabile è guidato dall'attenzione al pianeta e alle persone, e si ispira agli SDG delle Nazioni Unite. Le nostre decisioni d'investimento sono sempre più dettate dal loro possibile impatto su diversi aspetti: lotta alle disuguaglianze, contrasto della povertà, sostegno alla pace e rafforzamento delle istituzioni, oltre che rispetto al cambiamento climatico, alla fornitura di energia pulita e alla salute dei nostri mari.

 

Le sfide per la sicurezza

I recenti eventi globali dovrebbero farci prendere atto del considerevole rischio di sviluppi avversi in molte di queste aree. La crisi ucraina ha spazzato via la pace e la sicurezza nell'Europa Orientale e gli sforzi verso la riduzione delle emissioni di CO2 sono finiti in secondo piano rispetto all'urgenza politica ed economica di trovare fonti di energia alternative a quelle di provenienza russa. Nel breve, l'urgenza sembrerebbe implicare un incremento dell'utilizzo di combustibili fossili e una minore probabilità di limitare l'innalzamento globale delle temperature sotto 1,5°C entro il 2050.

Il rincaro dell'energia porterà a una riduzione del reddito reale, specialmente per i più poveri, mentre l'aumento dei tassi d'interesse globali in risposta alle spinte inflazionistiche potrebbe impattare sulla crescita economica e sull'occupazione. C'è anche il rischio di passi indietro nell'agenda net-zero, per andare incontro alle posizioni populistiche che lamentano l'aumento del costo della vita e chiedono investimenti per aumentare la capacità di combustibili fossili.

I principali canali tramite i quali la crisi ucraina si è abbattuta sull’economia globale sono le forniture e i prezzi dell’energia, le potenziali interruzioni degli scambi commerciali di altre materie prime e, in generale, la fiducia delle imprese, dei consumatori e degli investitori.

 

Offerta e distribuzione

Se si considera la crisi in atto sommata ai colpi di coda del Covid-19, che a inizio primavera ha portato a nuovi lockdown in Cina, è evidente che occorre prestare maggiore attenzione alla sicurezza delle forniture, sia in termini di input nei processi produttivi che di distribuzione. Le carenze di manodopera negli hub di trasporto sono situazioni molto comuni, che creano disagi a livello di import-export e di distribuzione sui mercati al consumo. La scarsità di materiali ha avuto ripercussioni sul settore edile, mentre i lead time di numerosi beni durevoli si sono allungati. I paesi dipendenti dalle forniture russe di gas e petrolio sono molto vulnerabili a ulteriori aumenti di prezzo, ma anche all'eventualità di un accesso ridotto alle forniture. Nel caso estremo esiste il rischio di una grave crisi economica e sociale.

Le poste in gioco sono sia a breve che a lungo termine. Nel breve, il focus si concentra sui possibili effetti inflazionistici del caro energia, nelle economie sviluppate come in quelle emergenti, che generano una revisione al rialzo permanente delle aspettative sull’inflazione. Si tratta di un rischio evidente e realistico, considerando la piega che ha preso l’inflazione a partire dal 2020, e tenendo conto del fatto che le spinte inflattive non riguardano solo l’energia.

 

Mispricing di inflazione, tassi d’interesse e tassi di rendimento

L’inflazione core è aumentata, e si registra una crescita dei salari in risposta sia all’aumento dei costi che alla solidità del mercato del lavoro. Per gli investitori obbligazionari, questa situazione pone la sfida più imponente degli ultimi anni. Inflazione più elevata significa anche rendimenti reali negativi sui titoli a reddito fisso, sia in termini di cedole (i tassi di rendimento sono inferiori all’inflazione) che di adeguamento del capitale a fronte dell’aumento dei tassi d’interesse. Per di più, l’inflazione erode il valore reale dei portafogli di obbligazioni nominali.

L’outlook prevalente sul mercato prospetta un allentamento delle spinte inflazionistiche entro il prossimo anno, e ritiene che la determinazione dei tassi d’interesse a termine debba essere compatibile con gli interventi delle banche centrali rispetto ai tassi di riferimento. In breve, si prevede che la stretta monetaria si completi quasi interamente nei prossimi 12 - 18 mesi, e che in seguito possa intervenire una flessione sia dei tassi d’interesse che dell'inflazione.

Per gli investitori obbligazionari si aprono potenziali scenari alternativi. Uno dei rischi maggiori è quello di un’errata valutazione dell’inflazione, che resterà più elevata a medio termine di quanto attualmente ipotizzato. I mercati dell’inflazione a termine suggeriscono tassi d’inflazione in media più alti di quelli pre-pandemia, ma di poco superiori agli attuali target range delle banche centrali.

Se il mondo dovrà adattarsi alle nuove catene di fornitura, ai fenomeni di rilocalizzazione e all’aumento dei costi di trasporto, allora in generale l’inflazione potrebbe continuare a correre. Ne conseguiranno anche tassi di equilibrio più elevati, che potrebbero spingere i rendimenti obbligazionari oltre i livelli attualmente prezzati dai mercati a termine. L’incertezza rispetto all’inflazione potrebbe tradursi in un incremento dei premi per il rischio di tasso d’interesse. Considerati gli attuali livelli di debito pubblico e di indebitamento di famiglie e imprese, l’aumento dei costi di finanziamento potrebbe creare difficoltà creditizie e portare a una maggiore dispersione degli asset basati sul credito.

 

Altre implicazioni per gli investimenti

In questa fase non sappiamo quale evoluzione potrà avere la crisi ucraina. In aggiunta ai costi elevati dell’energia, il suo impatto sui redditi reali è già ben visibile sia nelle economie sviluppate che in quelle emergenti. In alcuni paesi questi effetti sono parzialmente assorbiti da aiuti fiscali, ma non senza un costo. A parità di tutte le altre condizioni, il ridimensionamento delle previsioni di crescita dovrebbe fare aumentare i premi per il rischio sui mercati azionari e obbligazionari. I mercati azionari da un anno a questa parte evidenziano un parziale derating – come tipicamente avviene all’inizio di un ciclo di inasprimento monetario – ma i mercati continuano ad aspettarsi una crescita degli utili.

Il rischio principale per le performance azionarie è quello di uno shock sugli utili legato agli emittenti corporate o indotto da tagli più drastici delle previsioni di crescita economica. Esiste realmente il rischio di una recessione USA nei prossimi due anni, in gran parte riconducibile a come la Federal Reserve reagirà alla crescita dell’inflazione. Con un’inflazione più alta, la politica monetaria potrebbe concentrarsi sulla domanda. L’aumento dei prezzi energetici pone infatti il rischio di effetti inflattivi indiretti. Per interrompere il ciclo di rialzo dell’inflazione, si ricorrerà probabilmente ad aumenti dei tassi, con evidenti rischi per la crescita. Di conseguenza, a un certo punto si produrrà una divaricazione tra le prospettive del mercato azionario e quelle dell’obbligazionario.

I temi a più lungo termine della sicurezza e della sostenibilità persisteranno anche oltre l’attuale ciclo di inasprimento monetario. Non è questo il luogo per speculare sui possibili effetti geopolitici globali della crisi ucraina, ma è evidente la necessità per paesi e imprese di perseguire una maggiore sicurezza energetica.

Ciò significa, naturalmente, che dobbiamo accelerare la transizione a fonti di energia alternative, per ragioni economico-politiche oltre che ambientali. La logica economica di questa constatazione risulta evidente dall’abbassamento del costo delle energie alternative grazie agli sviluppi tecnologici, contro il costo elevato degli idrocarburi. Tuttavia, i vincoli di capacità e la necessità di raggiungere la massa critica rendono evidentemente necessari maggiori investimenti.

 

Il potenziale d’investimento

La transizione energetica offre potenzialità allettanti: produzione di energia decentrata; drastica riduzione della dipendenza dagli idrocarburi; energia più conveniente e non soggetta allo stesso livello di influenza geopolitica. Le regioni che godono di una posizione geografica più fortunata potrebbero diventare fornitrici di energia solare ed eolica a basso costo, con l’apporto di altre fonti intermedie di energia, come l’idrogeno.

Il potenziale di trasformazione economica è lampante. Quando anche i paesi che per tradizione dipendono dagli idrocarburi lo capiranno, per restare competitivi faranno accelerare il processo di transizione. Sarà in grado la Russia di adeguarsi a questi sviluppi in uno scenario di transizione già più avanzata? L’impatto sull’economia globale sarebbe di certo molto minore.

Noi sperimentiamo già da diverso tempo le opportunità d'investimento offerte dalla transizione energetica, ma oggi è ancora più importante, alla luce degli ultimi dati sul cambiamento climatico, spingere sul tema della riduzione delle emissioni. Saranno probabilmente favorite le società che sviluppano tecnologie utili alla decarbonizzazione e all’efficienza energetica. Gli investitori possono trovare un universo sempre più vasto di asset “green” in cui investire.

I paesi in grado di accelerare il processo di riduzione della dipendenza dagli idrocarburi saranno meno esposti all’inflazione dei prezzi energetici, con evidenti benefici per famiglie e imprese. Purtroppo, gli eventi recenti hanno acceso i riflettori sui paesi che hanno sottoinvestito nell’infrastruttura energetica, e questo ci riporta ai rischi d'inflazione. Sotto forma di aumento dei prezzi del carbonio o di limitazione della capacità per le fonti energetiche tradizionali, è probabile che la transizione comporti rincari sul fronte energetico prima che l’economia globale possa beneficiare di un settore energetico più sostenibile a medio termine.

 

Geopolitica o investimenti a lungo termine?

Nel prossimo futuro anche la sicurezza geopolitica sarà un elemento di grande preoccupazione. La dipendenza da materiali, commodity, merci e competenze provenienti da paesi politicamente ostili preoccupa in particolare le imprese. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e la Brexit, in modi diversi, esemplifica bene questo tipo di rischio. Nel contesto della valutazione dei rischi ESG, per individuare gli investimenti più promettenti sarà ancora più importante conoscere le catene di fornitura e la loro vulnerabilità per le imprese, oltre che il loro impatto sulle persone e sul pianeta.

Gli eventi geopolitici possono gravemente indebolire l’economia globale. Spesso l’energia è stata veicolo di sconvolgimenti economici, ma tipicamente anche di spostamenti di attività commerciali e di persone. La minimizzazione dei rischi fisici per le imprese è il fattore che presiede all’utilizzo di soluzioni digitali e all’automazione della value chain. La crisi ucraina ha con ogni probabilità rafforzato l’alleanza politica tra i paesi occidentali e il valore delle economie liberali socialdemocratiche, ma ha anche messo in luce alcune criticità. La priorità fondamentale per la società nei prossimi decenni consisterà probabilmente nella protezione fisica e nell'erogazione di prestazioni sanitarie, forniture energetiche e approvvigionamenti alimentari sicuri ed equi.

Per gli investitori, la necessità di approfondire la conoscenza dei modelli di business e dei rischi cui sono soggetti, oltre che del loro impatto, è quantomai pressante. Le opportunità d'investimento in società a buon punto nel percorso verso l'obiettivo net zero carbon, in grado di gestire le proprie catene di fornitura per ridurre l'esposizione a rischi di shock, e impegnate ad assicurare condizioni di lavoro eque, flessibili e ben remunerate rappresentano il nirvana per gli investitori responsabili. Allo stesso tempo, dagli eventi recenti dovremmo avere imparato a evitare l'esposizione ad asset di paesi che non rispettano standard di riferimento internazionali in termini ambientali, di diritti umani e di diplomazia.


Cinque lezioni che dovremmo avere appreso

  • La crisi ucraina, la risposta delle politiche fiscali e monetarie alla pandemia, e i perduranti effetti della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina del 2018 dovrebbero indurre i fondi pensione a rivedere le proprie ipotesi sull'economia globale. L'inflazione potrebbe durare nel tempo, anche a fronte dei rialzi dei tassi d'interesse.
  • Sappiamo bene che l'inflazione è trainata dall'impatto del conflitto russo-ucraino sui prezzi dell'energia. Prezzi così elevati riducono i redditi reali e potrebbero intaccare la fiducia delle imprese e dei consumatori, oltre che le previsioni di crescita.
  • La situazione è critica per gli investitori obbligazionari, poiché i tassi di rendimento sono più bassi dell'inflazione e i prezzi in aumento erodono il valore reale dei portafogli di obbligazioni nominali. I mercati azionari sono esposti a un rischio elevato connesso al potenziale rallentamento della crescita, mentre cresce il rischio di recessione negli USA, dove la Fed è alle prese con il dilemma dell'inflazione.
  • La transizione energetica, benché di più difficile realizzazione per effetto della crisi ucraina, appare ancora più desiderabile. Non è nostro compito speculare sui possibili effetti geopolitici globali della crisi, ma è evidente la necessità per paesi e imprese di perseguire una maggiore sicurezza energetica.
  • La capacità resta un vincolo per la transizione energetica. In futuro i paesi che saranno in grado di accelerare il processo di abbandono degli idrocarburi potranno con ogni probabilità essere meno soggetti all'inflazione dei prezzi energetici. Le società che si occupano di tecnologie utili alla decarbonizzazione saranno probabilmente favorite.
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