Si procede in condizioni di scarsa visibilità
In primo piano
- I policymaker si trovano di fronte a due elementi di profonda incertezza: fino a che punto l’impennata inflazionistica si sgonfierà spontaneamente? E quali sono i rischi per l’Europa del conflitto militare in Ucraina?
- La direzione delle banche centrali appare meno chiara. Ciò farà verosimilmente aumentare la volatilità.
- I mercati prevedono una stretta limitata dopo gli interventi iniziali, e le dinamiche geopolitiche incideranno sulle aspettative.
- Un’ulteriore svalutazione dei mercati azionari è possibile, tuttavia i rendimenti a lungo termine saranno trainati da temi che hanno una duration più lunga rispetto all’attuale ciclo dei tassi.
I manuali sono inutili?
Il mercato deve affrontare in particolare due fonti di incertezza macroeconomica, la prima riguarda le dinamiche inflazionistiche (ci si chiede se l’inflazione possa essere riportata entro il target senza danneggiare troppo l’economia reale), l’altra riguarda l’aggravarsi delle tensioni geopolitiche con la crisi in Ucraina. I policymaker sono costretti a improvvisare, pertanto aumenta il rischio che vengano commessi degli errori.
I mesi passano ma l’inflazione continua a salire, negli Stati Uniti e nell’Eurozona. Persiste però un’importante differenza tra le due regioni: le pressioni sui prezzi sono evidentemente più endogene negli Stati Uniti, mentre in Europa prevalgono ancora i fattori esterni. Di fronte a un’inflazione che proviene dall’interno con l’economia che si sta surriscaldando, il manuale delle banche centrali prescrive una stretta delle condizioni finanziarie finché la domanda in eccesso non si riduce. Questo è infatti il piano della Federal Reserve, con un probabile rialzo dei tassi a marzo e l’avvio del processo di ridimensionamento della situazione patrimoniale nel corso del terzo trimestre, però il dibattito in seno al Federal Open Market Committee (FOMC) sulla portata e sul ritmo della stretta è ancora vivace. Cosa dovrebbe fare la Fed? Iniziare col botto, operare un primo rialzo dei tassi di 50 punti base e proseguire rialzando i tassi a ogni incontro? Oppure dovrebbe optare per la prudenza (nel nostro scenario di base si tratterebbe di quattro rialzi di 25 punti base durante l’anno)? A rigor di logica, l’attuale impennata inflazionistica a un certo punto dovrebbe esaurirsi da sola, a fronte dell’erosione del potere di acquisto e il conseguente calo dei consumi, con la risoluzione dei problemi sul fronte dell’offerta e la paralisi della politica fiscale. La decisione dei consumatori su come utilizzare i risparmi accumulati durante la pandemia potrebbe però far deragliare questi meccanismi autostabilizzanti, spingendo a un approccio più rialzista sul fronte dei tassi. L’economia statunitense non si è mai trovata in una situazione di questo tipo. Alla fine, noi crediamo che la Fed deciderà man mano come procedere, gli investitori dovranno probabilmente affrontare una volatilità elevata, a fronte dell’intenso dibattito tra falchi e colombe.
La scelta potrebbe essere più semplice per la Banca Centrale Europea, diversamente dagli Stati Uniti non ci sono infatti evidenti segnali di surriscaldamento. La pazienza, che sembrava guidare il Consiglio direttivo a dicembre 2021, a febbraio ha lasciato spazio a “un’unanime preoccupazione per l’inflazione” per cui la Lagarde non ha voluto confermare le dichiarazioni di dicembre, quando riteneva improbabile un rialzo dei tassi quest’anno. Sembra che la banca centrale si stia allontanando dalle formule da manuale di Draghi e sia pronta a considerare che le aspettative inflazionistiche possano iniziare a disancorarsi. La direzione da prendere non è però ancora chiara: la BCE intende iniziare il processo di normalizzazione, ma ciò significa che la forward guidance attuale è obsoleta. Per il mercato ciò comporta una minore visibilità che potrebbe portare a un’erronea valutazione della stretta imminente.
A complicare ulteriormente la situazione, le tensioni tra la Russia e l’Occidente sull’Ucraina non accennano a diminuire. Un intervento militare in Europa graverebbe sulla fiducia nella regione, ma avrebbe anche importanti effetti diretti sui prezzi dell’energia. Il gas naturale è una componente importante del potere d’acquisto. L’effetto diretto dell’aumento del prezzo del gas ha già sottratto dal reddito reale disponibile lo 0,5% in un anno a dicembre 2021. Fattore più importante, l’impatto indiretto attraverso i prezzi dell’elettricità si è fatto sostenuto, poiché le centrali alimentate a gas oggi sono un “fornitore marginale” senza il quale non è possibile soddisfare la domanda di elettricità. La correlazione tra i prezzi di gas ed energia è aumentata, con la riduzione del potere di acquisto di un ulteriore 0,7% nel giro di un anno a dicembre 2021.
Nel breve termine non ci sono alternative facili alle forniture dalla Russia. L’Europa ha incrementato la capacità di ricevere gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti e dal Qatar, però questi due esportatori non possono aumentare ancora molto la produzione. Utilizzare più carbone, come è avvenuto l’anno scorso in Germania, non è auspicabile a causa dell’impronta ecologica. Al di fuori della Francia, aumentare la quota di energia nucleare distribuita sottocosto non è un’opzione praticabile. La soluzione probabilmente sta in un intervento fiscale per contenere lo shock sul reddito, compensato da una sovrattassa sui profitti in eccesso per i produttori di elettricità a basso costo, ma i Paesi dove i prezzi dell’elettricità sono saliti di più sono anche quelli più fragili dal punto di vista fiscale, ovvero Italia e Spagna.
Isabel Schnabel, membro del Comitato esecutivo della BCE, recentemente ha analizzato il possibile impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia sull’inflazione, in particolare a livello delle aspettative. In una rassicurante intervista al Financial Times la scorsa settimana, la Schnabel ha dichiarato che “considerati gli effetti probabilmente negativi di un’escalation della crisi sulla crescita e sulla fiducia, anche attraverso possibili sanzioni, è improbabile che l’istituto acceleri il processo di normalizzazione della politica monetaria.” Gli investitori più apprensivi noteranno che la Schnabel accetta la possibilità di non procedere con la normalizzazione, ma non contempla la possibilità di fornire maggiore sostegno in caso di crisi geopolitica. Lo spirito di Draghi ha lasciato per sempre la BCE.
Tassi e incertezze
Se gli investitori sapessero con precisione fino a che punto i tassi di interesse saliranno nel prossimo ciclo monetario, le strategie di portafoglio potrebbero allinearsi agli obiettivi di investimento a lungo termine con maggiore fiducia rispetto ad oggi. La realtà è che le prospettive dei tassi sono incerte per quanto concerne la durata della stretta, la portata con cui contagerà le economie, l’ampiezza dei rialzi e le ripercussioni sulla crescita economica e sul rendimento degli investimenti. Ci sono scelte difficili da fare su come gestire il portafoglio, se coprirsi in caso di ulteriori rialzi dei tassi, un rallentamento della crescita e la correzione delle valutazioni.
L’incertezza dipende innanzitutto dall’inflazione e dal modo in cui le banche centrali risponderanno nei prossimi uno/due anni. La situazione in Ucraina offusca ulteriormente lo scenario. Sappiamo comunque che i prezzi dell’energia sono saliti ancora e faranno salire l’inflazione, con un probabile effetto negativo sulla crescita globale. Gli ultimi sviluppi non hanno cambiato molto le prospettive del mercato sugli interventi delle banche centrali. Il messaggio dei mercati è che i tassi saliranno abbastanza rapidamente nel prossimo anno o due nella maggior parte delle regioni economiche. Tuttavia, i mercati future e forward dei tassi di interesse sembrano indicare che dopo i rialzi iniziali non accadrà molto altro. Le curve dei rendimenti obbligazionari sono piatte sia nei mercati a pronti che a termine, e il livello degli yield previsto in futuro è in linea con tassi estremamente bassi secondo gli standard storici. Per fare un esempio, lo yield dei titoli di Stato decennali a 5 anni attualmente è di soli 30/60 punti base più alto del tasso a pronti odierno per la maggior parte delle principali regioni valutarie.
Il mercato ci dice che modesti rialzi dei tassi di interesse basterebbero per confermare uno dei seguenti scenari. Nel primo caso, l’inflazione cesserà di salire man mano che si risolvono i problemi dell’offerta e i prezzi dell’energia scendono. In tale scenario, che i dati potrebbero confermare a breve, le banche centrali non dovranno operare una stretta consistente. Nel secondo scenario, che ha implicazioni più ribassiste per gli strumenti esposti al rischio, quanto viene già scontato basterebbe a rallentare la crescita globale e quindi a fermare gli interventi delle banche centrali. Naturalmente solo il tempo e nuovi dati ci diranno quale di questi scenari è corretto. Dobbiamo poi considerare anche la situazione tra Russia e Ucraina. Se il conflitto continuasse, le banche centrali potrebbero intervenire meno rispetto a quanto suggerito da qualche osservatore e dalle recenti aspettative del mercato.
A prescindere dai rischi geopolitici, le prospettive a breve termine sembrano indicare che la correzione delle aspettative inflazionistiche e sui tassi di interesse sia già avvenuta, e lo stesso vale per gli effetti sulle valutazioni dei mercati azionari e del credito. Le aspettative inflazionistiche a lungo termine si sono stabilizzate, quelle sui tassi a termine sono limitate e la svalutazione dei multipli nei mercati azionari è già oltre la norma nei cicli di stretta. A seconda della situazione politica, l’esito più ottimista per i mercati nel breve termine sarebbe un allentamento delle pressioni inflazionistiche in primavera che consentirebbe alle aspettative sui tassi di interesse di stabilizzarsi. La crescita è ancora sostenuta dai fondamentali, per cui i mercati potrebbero reagire positivamente.
Un po’ più a lungo termine dobbiamo valutare se i mercati sono ancora distorti dalla repressione finanziaria e se tale effetto si ridurrà con la normalizzazione della politica monetaria. Appiattimento delle curve dei rendimenti, tassi terminali bassi e PE azionari più alti rispetto all’inflazione di quanto non sia avvenuto in passato. Anche gli yield reali restano estremamente bassi. C’è il rischio che il ridimensionamento dello stato patrimoniale della banca centrale faccia salire gli yield reali con l’irripidimento delle curve dei rendimenti. Alla fine potrebbe diventare un problema per le valutazioni delle azioni in forte crescita, come abbiamo già visto quest’anno. Certamente, le politiche monetarie d’emergenza messe in atto all’inizio della pandemia hanno fatto salire i rating di questi strumenti. Riducendo tali misure, come minimo, si tornerebbe a valutazioni più sostenibili nei mercati azionari e del credito. Più veloce sarà la normalizzazione, attraverso i tassi o il ridimensionamento dello stato patrimoniale, maggiore sarà il rischio di una correzione più pronunciata. Forse questa è un’altra ragione per cui potremmo aspettarci un approccio prudente da parte delle banche centrali nella normalizzazione della loro situazione patrimoniale.
La buona notizia è che, persino per i segmenti del mercato che sembrano più sensibili a un aumento degli yield a lungo termine, i recenti rapporti sugli utili hanno evidenziato che molte aziende possono continuare a produrre robuste performance nel lungo termine. Man mano che usciamo dalla pandemia e ci concentriamo sulla transizione energetica e sul rafforzamento della logistica e delle catene di distribuzione, tali tendenze ci aiuteranno a sostenere le traiettorie di crescita. I fattori alla base di temi come le fonti di energia rinnovabili, la digitalizzazione e l’automazione persisteranno più a lungo dell’attuale ciclo di rialzi dei tassi. I multipli dei mercati azionari, soprattutto per le società in forte crescita, potrebbero diminuire a fronte del rialzo degli yield obbligazionari, ma grazie all’ottima crescita degli utili potremo continuare a considerarle una componente core dei portafogli di investimento. Naturalmente, nel breve termine gli sviluppi in Ucraina condizioneranno la price action e potrebbero anche produrre opportunità più interessanti nel lungo termine.
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