La variante Omicron e lo scenario macroeconomico
In sintesi
- La variante Omicron sembra meno grave ma i vaccini da soli potrebbero non bastare a proteggere il sistema sanitario dal sovraffollamento
- La Federal Reserve e la Banca Centrale Europea hanno adottato un diverso approccio sul rischio inflazionistico
- I fattori tecnici e macro hanno trainato i rendimenti del mercato
- Le valutazioni restano alte e potrebbero risentire dell’inflazione se restasse su livelli elevati
- Attenzione agli yield reali nel 2022: prevediamo un lieve aumento nel corso dell’anno
Il rischio Omicron
Speravamo, nell’ultimo commento prima delle vacanze di fine anno, di non dover parlare ancora della pandemia. Purtroppo la diffusione della variante Omicron ci costringe a rivalutare i rischi per il nostro scenario di base nel 2022. Nel momento in cui scriviamo si sa ancora poco, ma sono stati pubblicati alcuni studi che ci consentono di tentare di formulare qualche considerazione sui possibili effetti sull’economia globale.
L’agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito ha condotto uno studio su 581 casi sintomatici di Omicron (senza riportarne la gravità). Due dosi di Astra Zeneca non offrono una protezione significativa in base ai dati statistici. Due dosi di Pfizer forniscono una protezione insufficiente. Il richiamo vaccinale però sembra dare una discreta protezione, seppur inferiore rispetto alla Delta. La risposta più logica è dunque quella di accelerare la campagna di richiamo delle vaccinazioni. Con un’efficacia del 75%, anche il richiamo non garantisce comunque l’immunità collettiva (presupponendo di riuscire a convincere gli indecisi a vaccinarsi). Non sono dati rassicuranti. La gravità è un altro aspetto ancora da valutare.
L’Omicron si diffonde più rapidamente delle varianti precedenti del virus, ma finora in Sud Africa non ha fatto aumentare i decessi in misura significativa. Quest’osservazione empirica è supportata da uno studio su vasta scala della compagnia assicurativa Discovery. Sulla base di un’analisi di 78.000 test, la variante avrebbe una “gravità di base”, ovvero la probabilità di essere ricoverati con la variante Omicron è del 29% inferiore rispetto alla prima variante, considerato anche l’effetto del vaccino. Due dosi di Pfizer darebbero una protezione del 70% contro il ricovero ospedaliero e una protezione del 30% dal contagio sintomatico, a conferma dei dati raccolti dal Regno Unito. Lo studio non esamina gli effetti del richiamo vaccinale, tuttavia è logico pensare che incrementi ulteriormente la protezione contro il ricovero ospedaliero.
Non sorprende dunque che i governi stiano accelerando le campagne di richiamo per fare la terza vaccinazione a più persone possibile, il più rapidamente possibile, per evitare l’imposizione di forti restrizioni alla mobilità. Ai ritmi rilevati la scorsa settimana, che sono già aumentati, ci vorrebbero tra 2 e 2,5 mesi per fare la terza dose al 75% della popolazione in Europa. Negli Stati Uniti ci vorrà molto più tempo (oltre 6 mesi). Bisogna poi considerare la percentuale della popolazione che finora non ha voluto vaccinarsi. L’introduzione di restrizioni sulla base della situazione vaccinale di ciascuno sembra aver convinto molti a fare la prima dose in Germania dove c’era ancora una sostanziosa minoranza di indecisi. Queste persone non raggiungeranno comunque il massimo grado di protezione fino al 2022 inoltrato.
Nel complesso, la rapidità di diffusione della variante e il numero ancora elevato di persone senza alcuna protezione potrebbero rendere necessarie nuove misure restrittive nelle prossime settimane al fine di tutelare il sistema sanitario, a meno che la gravità della variante sia assai inferiore alle ondate precedenti. Tali dinamiche incideranno sulla crescita del Pil quest’inverno, anche se si tratterà probabilmente solo di una pausa nel percorso di ripresa. Non siamo tornati al punto di partenza nella lotta contro la pandemia.
Di fronte a tale incertezza, le banche centrali si sono comportate in modo diverso. La Federal Reserve ha certamente cambiato rotta, nel timore che l’impennata dell’inflazione possa essere permanente e a seguito dei meccanismi endogeni dell’economia. L’accelerazione del tapering non è stata una sorpresa, tuttavia crediamo che consentirà semplicemente alla Federal Reserve di incrementare la possibilità di una serie di rialzi a partire dall’inizio del 2022. Mediamente i membri del Federal Open Market Committee oggi si aspettano tre rialzi dei tassi il prossimo anno, a conferma che non si tratta più di una possibilità ma di un’intenzione. Crediamo che tali interventi, nonostante il rischio Omicron, riflettano la convinzione della banca centrale che, come durante le ondate precedenti, la tolleranza del rischio sanitario sia maggiore negli Stati Uniti e che si possa evitare un significativo rallentamento dell’attività economica. È rassicurante il fatto che il mercato continui a credere che questa stretta monetaria anticipata sia sufficiente a stroncare l’inflazione sul nascere, in modo che i tassi di interesse a lungo termine restino bassi. Secondo noi c’è però il rischio di esagerare. È interessante che le aspettative inflazionistiche a 10 anni oggi siano nuovamente inferiori al target della Fed. Sembra che il mercato obbligazionario accetti il rischio di un rallentamento troppo rapido.
La Banca Centrale Europea ha adottato l’approccio opposto. Anche se il Quantitative Easing verrà ridotto nel corso del 2022, è abbastanza evidente che il Consiglio direttivo non intende alzare i tassi prima del 2023. È logico, secondo noi. Le condizioni macroeconomiche sulle due sponde dell’Atlantico sono assai diverse. Nell’Area Euro, l’inflazione resta sostanzialmente un fenomeno esogeno che dovrebbe svanire entro il 2023 e il divario produttivo rimane negativo. Contrariamente agli Stati Uniti, non c’è una domanda in eccesso che la banca centrale può permettersi di limitare per tenere a bada l’inflazione.
Assisteremo a una correzione delle valutazioni?
L’inflazione è sui massimi di diversi decenni nelle economie sviluppate. I mercati hanno scontato l’inizio di un ciclo di rialzo dei tassi di interesse nel 2022. Eppure gli yield obbligazionari a lungo termine restano bassi. Sono bassi rispetto all’inflazione attuale e anche rispetto ai livelli pre-pandemia. Se gli yield obbligazionari non riusciranno a salire sulla scorta del rialzo dell’inflazione e della stretta monetaria, gli investitori avranno il via libera per assumere un’esposizione sugli strumenti più rischiosi nei mercati azionari e del credito?
Coi nostri team di gestione del portafoglio rivediamo regolarmente le prospettive di rendimento utilizzando un meccanismo che considera la situazione macro, le valutazioni, il sentiment degli investitori e i fattori tecnici dei mercati. Le tendenze macroeconomiche sono state favorevoli poiché la politica monetaria ha consentito una rapida ripresa della crescita e ha sostenuto i fondamentali societari. Ciò si è riflesso in una crescita robusta degli utili per azione nei mercati azionari e nei bassi tassi di insolvenza nel credito corporate. Un altro elemento importante sono i fattori tecnici. È particolarmente evidente nei mercati obbligazionari dove gli acquisti di titoli da parte delle banche centrali sono stati la ragione principale per cui gli yield sono rimasti così bassi. Da anni gli interventi delle banche centrali hanno spinto gli investitori in cerca di rendimento verso il credito e il segmento high yield, e hanno contribuito a contenere i costi di finanziamento per le imprese. Possiamo inoltre notare che il sentiment ha avuto un ruolo importante sulla tendenza dei mercati dal 2020. I progressi nelle campagne di vaccinazione hanno alimentato l’ottimismo che si è riflesso in numerose occasioni nel rialzo dei mercati azionari.
Tutti questi fattori positivi hanno offuscato l’unico aspetto che ha continuato a preoccupare gli investitori, ovvero le valutazioni. In futuro, altri fattori potrebbero essere meno favorevoli. La crescita resterà positiva ma altri aspetti correlati, come il Pil e gli utili, si indeboliranno. Assisteremo inoltre a un deterioramento dei fattori tecnici a sostegno delle obbligazioni, man mano che la Federal Reserve ridurrà gli acquisti di obbligazioni. La fiducia è già stata messa alla prova dalla diffusione della variante Omicron.
I mercati azionari e obbligazionari sono indubbiamente molto costosi rispetto all’inflazione, in particolare negli Stati Uniti. Se l’inflazione restasse più alta del previsto, allora potremmo assistere a qualche correzione delle valutazioni, con yield più alti e multipli PE più bassi. Finora, l’opinione di consensus indica un calo dell’inflazione nel 2022. In tale scenario, le attuali aspettative sui tassi di interesse sembrano adeguate e i mercati possono continuare a concentrarsi sugli spread positivi nei mercati del credito e sulla crescita degli utili azionari, ancora robusta in base ai dati storici. I rendimenti forse non toccheranno i livelli del 2021, ma un’esposizione sul carry nel reddito fisso e sulle azioni globali appare giustificata.
Il dato da monitorare per una correzione potenzialmente sistemica delle valutazioni sono gli yield reali. Restano molto negativi, ma potrebbero salire durante il prossimo anno. L’ascesa dovrebbe essere moderata, in linea con il ciclo di stretta della Fed. Gli yield reali a più breve termine, nel segmento a 5 anni sul mercato USA per esempio, hanno già iniziato a consolidarsi. Un modesto aumento degli yield reali non dovrebbe essere troppo dannoso, tuttavia consentirebbe agli yield nominali di salire verso i massimi della banda di oscillazione del 2021 e potrebbe limitare l’espansione dei multipli nelle azioni americane. C’è il rischio di uno shock più ampio per gli yield reali, recentemente lo abbiamo però visto solo nel 2013 quando la Fed scioccò e sorprese il mercato col cosiddetto “taper tantrum”. Speriamo che questa volta la Federal Reserve prepari prima il mercato.
Un lieve indebolimento dei fattori tecnici e macro, unitamente a qualche rischio sul fronte delle valutazioni, potrebbe risultare in un appiattimento dei rendimenti dei titoli di Stato core, con un impatto moderatamente positivo su credito e high yield, e rendimenti di poco inferiori al 10% per le azioni globali. Per il momento restiamo ottimisti per gli strumenti più esposti al rischio, ma l’evoluzione degli yield reali sarà cruciale quando entreremo nel vivo del ciclo di rialzo dei tassi il prossimo anno.
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