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La Versione di Iggo

Tempo di primavera?

  • 11 Febbraio 2022 (7 min di lettura)

Negli ultimi 20 anni i prezzi al consumo negli Stati Uniti, in media, sono saliti mensilmente dello 0,2%. Nel 94% delle volte, gli aumenti sono stati inferiori allo 0,6%. L’indice CPI a gennaio è salito dello 0,6%. È una tendenza sostenibile? Ci troviamo in una fascia di probabilità del 6%? Incrementi mensili di tale portata manterrebbero i tassi annuali oltre il 7% per il resto dell’anno, ciò comporterebbe rialzi dei tassi più aggressivi da parte della Federal Reserve e accelererebbe la prossima recessione. Se gli aumenti mensili si attestassero tra lo 0,6% e lo 0,4%, l’inflazione annuale scenderebbe, ma non come si sperava in precedenza. Persiste certamente il rischio di una correzione del 20% dei mercati azionari americani, con uno yield di almeno il 2,5% per i Treasury a 10 anni.  

 

Occhio ai prezzi

L’inflazione sta continuando a salire più del previsto. Ciò significa che va scontato un rialzo dei tassi di interesse, con possibili ripercussioni sulle prospettive economiche e sugli strumenti più esposti al rischio. Gli investitori sono cauti nel reddito fisso poiché gli yield, e ora anche gli spread di credito, stanno salendo e ciò significa rendimenti negativi. Sono cauti anche nei mercati azionari perché le valutazioni restano più alte rispetto a prima della pandemia. Per gli investitori è particolarmente difficile valutare quando è il caso di ignorare il sentiment negativo, adottare un approccio in controtendenza e acquistare. Non sarà facile. E potrebbe essere necessario aspettare ancora un po’.

 

Inflazione ai picchi? Non ancora

Ho cercato di identificare i fattori che potrebbero portare maggiore positività sui mercati. Il più importante è che l’inflazione raggiunga il livello massimo. L’indice dei prezzi al consumo USA su base annua al 7,5% a gennaio potrebbe essere un segnale in tale direzione, o forse no. Il rapporto indica che le pressioni inflazionistiche persistono e non cambieranno rotta a breve, lo stesso vale per i canoni di locazione. Come accennato, un rialzo mensile dell’inflazione dello 0,6% è piuttosto insolito, dunque è probabile che assisteremo a un certo allentamento che farà ridimensionare il tasso su base annua. Nel breve termine però è più una speranza che un’aspettativa. E quel che vale per gli Stati Uniti vale probabilmente anche per l’Europa, e non solo.  

 

Prezzi dell’energia in calo

Il secondo fattore, correlato al primo, è che anche i prezzi dell’energia devono scendere. Anche se i prezzi del greggio sono scesi un po’ rispetto ai recenti massimi, non è ancora una tendenza convincente. Lo stesso vale per il prezzo del gas naturale. Se il petrolio scendesse entro i 70-80 dollari al barile, i confronti su base annua si semplificherebbero, ma probabilmente l’energia non inciderà negativamente sull’inflazione complessiva per un po’.

 

Politica monetaria

Il terzo fattore trainante, secondo me, sarà una maggiore chiarezza da parte della Federal Reserve e di altre banche centrali sull’evoluzione dei tassi. Lo scenario si è fatto meno chiaro con i dati sull’inflazione di gennaio. Secondo alcuni esperti, stiamo parlando di un rialzo dei tassi da parte della Fed di 50 p.b. a marzo; in questo momento le aspettative del mercato sono di un rialzo dei tassi il prossimo anno oltre il 2,0%. Il ciclo di rialzi dei tassi previsto sta assomigliando sempre più a quello del 2004-2006, e non a quello del 2015-2018, con sette aumenti previsti entro il gennaio del prossimo anno. La Federal Reserve è intervenuta sedici volte nel periodo 2004-2006, inasprendo così tanto le condizioni finanziarie che ci siamo trovati in una crisi finanziaria globale. Se la Fed proseguisse con rialzi di 25 p.b. e intravedesse una flessione dell’inflazione nei prossimi mesi, potremmo essere più ottimisti. Sinceramente, credo però che i mercati non toccheranno il fondo ancora per un po’. La fiducia scarseggia e gli investitori hanno bisogno di chiarezza sul fronte dell’inflazione, dei prezzi dell’energia e dei tassi di interesse. Da una parte si teme una stretta eccessiva e, dall’altra, la fine anticipata della fase di espansione rispetto a quanto si attendeva qualche settimana fa.

 

Ribassisti

Gli investitori vorrebbero delineare uno scenario più roseo nella previsione che la banca centrale americana non debba intervenire così tanto come previsto. La BCE e la Bank of England hanno fatto qualche passo indietro sul fronte dei rialzi dei tassi, però l’inflazione non è alta come negli Stati Uniti e la domanda di lavoratori non è così elevata. Pertanto è logico essere un po’ ribassisti. Io mi aspetto yield sui Treasury al 2,5%, il rendimento dei Bund in salita verso 50-75 p.b, spread di credito più alti di altri 50-100 p.b. e la svalutazione dei mercati azionari in particolare negli Stati Uniti. Qualora ciò accadesse, il rendimento rettificato per il rischio dovrebbe migliorare molto. Tuttavia, potrebbe essere necessario aspettare ancora a lungo.

 

Più giù

Non credo alla teoria dell’errore politico (presente in ogni ciclo) perché sappiamo che una svolta da parte della Fed sarebbe possibile qualora la crescita iniziasse a deteriorarsi seriamente. Al momento l’economia è surriscaldata. Inoltre, la banca centrale americana sa bene che l’inflazione dipende principalmente dalle problematiche dell’offerta che stanno iniziando a risolversi. Per gli investitori azionari, la stagione degli utili del 4° trimestre è stata relativamente positiva: i resoconti hanno battuto le stime e gli utili per azione sono saliti di oltre il 25% su base annua. Naturalmente è importante cosa accadrà in futuro. Le stime bottom-up sugli utili per azione, sia per i mercati statunitensi che europei, hanno iniziato a peggiorare. Le revisioni degli utili sono meno positive e il rapporto tra revisioni al rialzo e al ribasso e aspettative di utile in genere è un buon indicatore della performance. Le revisioni degli utili per azione stanno apparentemente per entrare in territorio negativo, e anche i rendimenti percentuali a 6 mesi dell’azionario mostrano una tendenza negativa. Generalmente le correzioni riportano una flessione del 20% delle valutazioni del mercato, ma non tutti i cicli sono uguali. I PE sono già in calo rispetto ai livelli della pandemia. Probabilmente scenderanno ancora e non credo di poter escludere livelli inferiori a 4.000 per l’S&P e inferiori a 13.000 per il Nasdaq. Ci sono mercati in cui le valutazioni sono più di una deviazione standard oltre le medie a lungo termine.  

 

Rialzisti nel medio termine

A meno che non si creda che tutti gli effetti positivi del QE degli ultimi dieci anni svaniscano nel 2022-2023, le aspettative a medio termine per la maggior parte delle asset class è di produrre rendimenti positivi. Non sembra ancora imminente la possibilità di rendimenti nominali, né tanto meno reali, positivi. Ma prima o poi ci arriveremo, per quanto potrebbero essere generalmente inferiori al periodo del QE. I mercati salgono nel tempo perché i rendimenti vengono trainati dalla crescita economica. Nell’obbligazionario mi sento di ripetere che è estremamente insolito avere due anni consecutivi di rendimenti negativi. La duration è un fattore di rischio che si autocorregge (se gli yield reali salgono troppo, la crescita economica vacilla e gli yield scendono). La probabilità che l’inflazione complessiva negli Stati Uniti resti oltre il 7% e quella core oltre il 6% per un periodo di tempo prolungato, a mio giudizio, è bassa. La Fed però deve agire, e inizialmente potrebbe intervenire con forza per rafforzare la sua credibilità. La primavera dovrebbe essere un periodo di rinascita, ma questa volta l’inverno potrebbe prolungarsi.

 

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