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La Versione di Iggo

Egemonia indiscussa?

  • 04 Marzo 2022 (7 min di lettura)

C’è profonda incertezza su ciò che sta accadendo in Ucraina e sui danni collaterali che subirà, alla fine, l’economia mondiale. Certamente assisteremo a un indebolimento della crescita e a un rialzo dell’inflazione. Inoltre, i futuri sviluppi della politica monetaria appaiono meno chiari. Non solo, ci troviamo verosimilmente di fronte a uno scenario diverso nel lungo periodo relativamente al costo della sicurezza. Anche volendo operare sui mercati, la liquidità è scarsa. Ne stanno beneficiando il dollaro e i titoli statunitensi, dove la liquidità è più abbondante, e continueranno a farlo finché il conflitto non prenderà una direzione diversa. 

 

La Russia è isolata

Dopo una settimana di combattimenti in Ucraina, non c’è maggiore chiarezza su quale potrebbe essere l’esito del conflitto. Sono state imposte enormi sanzioni contro lo stato russo, contro alcune imprese russe e singoli individui. Le sanzioni hanno sostanzialmente tagliato fuori la Russia dal sistema finanziario internazionale. Viene consentito un accesso limitato a SWIFT, il sistema usato nelle telecomunicazioni finanziarie interbancarie, allo scopo di consentire il pagamento delle esportazioni di energia e, presumo, l’importazione di beni essenziali. Il congelamento delle operazioni e dei beni rende però molto difficile per la Russia finanziarsi in valuta estera. Il rublo è crollato e il tasso di interesse interno è salito alle stelle. L’inflazione probabilmente salirà moltissimo, gravando sullo standard di vita dei cittadini russi. Probabilmente non è un’esagerazione dire che l’economia russa è al collasso.

 

Quale futuro?

Resta da vedere in che misura tutto ciò si rifletterà sulla sfera militare. Secondo i media, la violenza degli attacchi contro le città ucraine si è intensificata. Si moltiplicheranno probabilmente i tentativi di giungere a una tregua per alleviare le sofferenze della popolazione locale. È difficile pensare a uno scenario in cui Putin appaia “vittorioso” dopo aver preso il controllo di buona parte dell’Ucraina e costretto il governo in carica a lasciare Kiev. Non è l’unico scenario possibile, ma certamente è una situazione in cui la Russia continuerebbe a subire l’ostracismo della comunità internazionale.

 

Si teme per la sicurezza

Ciò ci porta a formulare qualche considerazione su problematiche a più lungo termine, come la sicurezza politica e dell’energia in Europa, mentre stati come la Svezia e la Finlandia potrebbero entrare a far parte della NATO. Ci ricorda la Guerra fredda ed effettivamente, secondo molti analisti geopolitici, l’Occidente dovrebbe prepararsi a tale evenienza fintanto che Putin resta in carica a Mosca e la Russia si oppone fermamente all’idea di un ampliamento della NATO.

 

Vi ricorda gli anni ‘80?

La fine della Guerra fredda negli anni ‘80, voluta dai Presidenti Reagan e Gorbaciov, è stato un momento significativo dal punto di vista economico che ha portato con sé un “dividendo della pace”. L’allentarsi delle tensioni tra est e ovest e il crollo dell’Unione Sovietica consentirono di ridurre la spesa per la difesa. Nel 1980 la spesa per la difesa ammontava al 6,8% del Pil degli Stati Uniti. Nel 2000 è scesa a poco oltre il 3,0% e successivamente è rimasta più o meno stabile. Lo stesso è accaduto in Francia e nel Regno Unito, dove la spesa per la difesa ha rappresentato negli ultimi anni meno del 2% del Pil (Fonte: Banca Mondiale, Macrotrends).

 

Il dividendo della pace…

Con dividendo della pace si intende una spesa minore per la difesa, con la possibilità di spendere di più per le attività civili, di ridurre le imposte e incrementare gli investimenti pubblici. Possiamo certamente discutere sul fatto che tale passaggio sia avvenuto in modo coerente o meno, tuttavia è possibile che la riduzione della spesa per la difesa e l’allentamento delle tensioni della Guerra fredda abbiano contribuito a un calo dell’inflazione durato quarant’anni (la globalizzazione ha preso piede più facilmente dato che non c’era più la cortina di ferro a dividere l’Europa).

 

…in retromarcia?  

Non potendo sapere se la Russia in futuro sarà governata in modo più democratico, giusto e internazionalmente responsabile, è possibile che si faccia qualche passo indietro sul fronte del dividendo per la pace. In una svolta storica, la Germania ha annunciato che incrementerà la spesa per la difesa. Altre nazioni europee probabilmente dovranno fare lo stesso per garantire la sicurezza di un’Europa democratica contro l’espansionismo russo. È improbabile che si torni agli stessi livelli di spesa militare degli anni ‘80, in percentuale del Pil, tuttavia è verosimile che aumenti rispetto agli ultimi anni.  

 

La spesa

Qui dobbiamo fare qualche considerazione sugli investimenti nel più lungo periodo. Primo, aumenterà la spesa per l’hardware, i sistemi logistici, le munizioni e la tecnologia in campo militare. Ne beneficeranno alcune imprese dei settori aerospaziale e difesa, trasporti e tecnologia. Tali dinamiche aprono numerosi interrogativi sul fronte ESG. La guerra oggi non si fa solo con missili e carrarmati (anche se il conflitto in corso sembra ancora mirato a soddisfare ambizioni territoriali), bensì dipende anche dalla tecnologia e dalle sue applicazioni nella guerra cibernetica. Potrebbe non essere facile identificare gli strumenti che contribuiscono a tali attività.  

 

Più debito?

Vanno considerate anche le ripercussioni dell’aumento della spesa militare sulla spesa pubblica e sul deficit. Si tratta di incrementare la spesa per diversi anni al fine di consentire ai Paesi occidentali di dotarsi della medesima capacità di difesa militare che sembrano avere Paesi come la Russia e la Cina? Non ci sembra dunque improbabile la necessità di spendere l’1-2% del Pil in più per la difesa. Ciò andrebbe ad aggiungersi al fabbisogno finanziario dei governi e contribuirebbe al rialzo dei tassi in futuro.

 

Non rinviamo i benefici della transizione energetica

Per potenziare la sicurezza dell’energia avremo bisogno di incrementare gli investimenti nelle fonti alternative per fare meno affidamento sul gas e sul petrolio russo. Naturalmente ciò significa investire di più in fonti rinnovabili (questa settimana ho letto un’incoraggiante intervista al CEO di un’azienda italiana nel settore dell’energia che parlava dell’utilizzo dell’energia solare nel Sahara per generare idrogeno verde che potrebbe poi essere distribuito attraverso le condutture esistenti in Europa). Potrebbe significare anche più investimenti nel nucleare e negli impianti per importare fonti di energia, come il GNL, da altre regioni del mondo (in particolare dal Medio Oriente). Non sono sviluppi che possono accadere rapidamente, e infatti il prezzo dell’energia oggi comprende un premio per il rischio delle forniture molto alto. L’inflazione pertanto sale e ciò potrebbe significare un premio per il rischio inflazionistico incorporato nei tassi di interesse. Io penso che la transizione energetica, alla fine, farà abbassare i prezzi dell’energia (con effetti positivi sulla crescita) e aumentare la sicurezza dell’energia. Se tale transizione venisse interrotta dalla guerra, con la necessità di contrastare il rialzo dei prezzi nel breve periodo, i suoi vantaggi verrebbero rinviati.

 

Yield reali ancora in calo

Oggi non è chiaro. Gli yield reali sono scesi dall’inizio della guerra e i mercati sono stati trainati più dalla corsa verso la qualità che dall’inflazione e dal rialzo dei tassi. Le asset class con le migliori performance dall’inizio dell’invasione sono le obbligazioni indicizzate all’inflazione in euro, i titoli di Stato a lunga scadenza, le azioni mid-cap USA, il Nikkei e in generale i titoli value. I peggiori sono stati le azioni europee, il credito asiatico e il reddito fisso dei mercati emergenti in genere (sebbene Russia e Ucraina insieme fossero una piccola componente degli indici). Dalla data dell’invasione fino alla chiusura dei mercati il 3 marzo, la differenza di performance tra il segmento high yield in Asia e i titoli indicizzati all’inflazione in Europa è stata del 6,5%!

 

Coi mercati difficili, i porti sicuri restano interessanti

In generale i mercati finanziari sono disciplinati. La liquidità è scarsa a causa dell’incertezza e del potenziale impatto delle sanzioni sul funzionamento del sistema finanziario globale. Nell’azionario, gli Stati Uniti hanno fatto meglio dell’Europa e, a livello settoriale, è andata bene all’energia mentre i finanziari sono il fanalino di coda. La rendita economica dei prezzi dell’energia, le potenziali svalutazioni e insolvenze nonché l’aumento degli accantonamenti di alcune banche spiegano tale divergenza. Col capital relief assisteremo a un’inversione di tendenza, le banche centrali dovranno adottare un approccio più accomodante e rallentare la stretta monetaria, mentre la maggior parte del sistema bancario ha un’esposizione limitata in Russia.

 

Ma non siamo ancora arrivati a questo punto. La situazione potrebbe ancora peggiorare, facendo scendere l’azionario, l’euro e la performance del credito. I titoli del Tesoro e il dollaro finora hanno beneficiato dell’incertezza globale e, nonostante l’ovvia preoccupazione politica per l’inflazione espressa tra l’altro dal Presidente della Fed Powell davanti al Congresso questa settimana, l’incertezza geopolitica continuerà a favorirli. L’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, ha vinto la Guerra fredda e si scommette sul fatto che l’egemonia americana resti incontrastata nel tempo.

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